Letteratura e antifascismo
Poesie di Nadia Ferroni
di Sebastiano Saglimbeni
Si leggono, dopo la divulgazione di non poche altre, nel titolo I Poeti di Via Margutta, edito di recente a Roma da Dantebus. Trattasi di una diecina che Nadia Ferroni ci propone, alcune brevi, altre più corpose e meditate. Dalle poesie “Amami” e “Piccole mani” emerge l’esistere di una presenza muliebre, la cui esistenza, da diversi anni, è impegnata nell’assistenza cognitiva ai malati di Alzheimer e nel volontariato.
La poesia “Amami” si fruisce con un fine lirismo. “Amami di quell’amore/ che hai cercato nei tanti altrove/ dove la vita ti ha portato.// Trovalo nei più riposti anfratti/ del tuo cuore/trovalo nell’anima e nei sogni/ che ci accompagnano/ dalla giovinezza.//Trovalo nelle vene/ in quel pulsare/ che scandisce l’attesa.// Rammentane la tenerezza che ti fa,/ come quello materno,/ dono incondizionato”(…).
Parole di una vita delicata rivolte ad un interlocutore che dovrà ritrovare quel genere di amore, quello raramente autentico, nell’innocenza e “nelle ferite”. L’eterno tema, qui, che sin dalle vetuste scritture al nostro tempo, continua ad avere trattazione con la parola, con il segno e con la nota.
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“IL MIO MONDO FINIRA’ CON TE“
di Sebastiano Saglimbeni
Il mio mondo finirà con te, titolo del romanzo di Carmelo Aliberti, poeta e saggista. Una terza edizione, rivista e integrata (Edizioni Terzo Millennio). Abbiamo letto questa recente fatica singolare, dai contenuti che sono di narrazione, di storia contemporanea con riguardo alla nostra grande, mitica e martoriata Trinacria, dove è nato l’autore e dove, a Messina, ha conseguito la laurea che gli ha consentito di insegnare per anni nelle Scuole medie superiori materie letterarie. Il romanzo si apre con una doviziosa nota critica della giornalista e scrittrice Francesca Romeo.
Che scrive, fra l’altro, (pag.7) “Sfumature trobadoriche e saggi di uno schietto verismo, in una moderna ibrida lettura del romanticismo, si dipanano in un romanzo in cui il particolare ed il tutto si fondono in una cultura dell’entusiasmo, lasciando esplodere il sentimento del sublime e svelando l‘Amore quale protagonista incontrastato dell’opera”. Con una rara analisi, la Romeo nelle più pagine dell’opera, ha osservato la scrittura articolata di Aliberti. E al lettore – ci pare di osservare-, con un’analisi del genere, potrebbe così cadere la volontà di inoltrarsi nelle quasi 300 pagine del romanzo.
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Amelia Rosselli, poetessa unica ed eccezionale
di Sebastiano Saglimbeni
Alcuni anni fa avevo pubblicato su un quotidiano della Sicilia un breve testo riguardante la famosa silloge poetica Parole di Antonia Pozzi ristampata, dopo anni, da Garzanti, Questa editrice, che continua a credere nel prodotto della poesia, nonostante l’arduo consumo, aveva come reso un consistente e dovuto tributo alla poetessa lombarda morta nel 1938 suicida, all’età di 26 anni. Così quelle poesie di Antonia Pozzi e la sua immagine hanno potuto per un po’ rivivere presso le nuove generazioni di lettori.
Allora quella fragile donna mi aveva pure ricordato altre parole di poesia scritta e altre simili morti di donne poetesse. Mi riferisco, come esempio, alle morti di Sylvia Plath e di Amelia Rosselli. La poetessa statunitense Sylvia Plath aveva detto no alla sua esistenza all’età di 31 anni, mentre la poetessa Amelia Rosselli, all’età di 66 anni.
Un’esistenza, quest’ultima, durata doppiamente, rispetto a quella di Sylvia, e tutta racchiusa in una costante di sofferenze devastanti. Amelia era figlia di…
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Quella poesia in memoria
di Sebastiano Saglimbeni
a Sostine Cannata, in nome della Poesia.
Quella poesia in memoria. L’esercizio iterato ebbe inizio nelle Scuole elementari di quell’ennesimo tragico anno 1939. In seconda classe, di circa 25 ragazzi, rosei e sani, miseramente vestiti, apprendemmo a memoria la poesia “Orfano” di Giovanni Pascoli, che pure fu un orfano. Ed aggiungemmo alla lingua dialettale dei padri contadini ed artigiani la lingua italiana. L’ “Orfano”, di otto endecasillabi con rima, recita:
Lenta la neve, fiocca, fiocca, fiocca,
senti una zana dondola pian piano.
Un bimbo piange, il piccol dito in bocca,
canta una vecchia, il mento sulla mano.
La vecchia canta: intorno al tuo lettino
c’è rose e gigli, tutto un bel giardino.
Nel bel giardino il bimbo s’addormenta.
La neve fiocca lenta, lenta, lenta.
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Questi autori del nostro tempo
di Sebastiano Saglimbeni
Dopo quell’inaspettato romanzo, dai tratti lirici, di Carmelo Aliberti, dal titolo Bricioli di sogno, leggiamo, in questa estate asfittica e greve, un poderoso volume di 300 pagine a cura di questo insonne uomo di Bafia, vivente a Trieste. Un poderoso volume. Che è, in realtà, una rivista cartacea con dentro autori italiani del nostro tempo, di spicco, generici ed esordienti. Fatica estenuante dal titolo RASSEGNA DI AUTORI DEL NOSTRO TEMPO. Sulla prima di copertina, il dipinto “Omaggio a Peter Maleveld” eseguito dalla siciliana Loredana Aimi, pittrice ed autrice di versi. In apertura del tomo due intense pagine in corsivo di Aliberti, direttore editoriale, dicono, non senza certa acredine, di questa sua fatica. Si senta un tratto:
“Cari lettori, studiosi e amanti della Letteratura, dopo aver setacciato nel mio recentissimo ‘Letteratura e Società Italiana dal Secondo Ottocento ad oggi’ in sette tomi, le voci poetiche narrative intrecciate con il dipanarsi dello sviluppo storico-scientifico, sociologico ed etico, intrecciando la storia della società e con le opere dei singoli autori nello spazio esistente tra il sistema e iottirci…
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Così ricordo Salvatore Quasimodo
di Sebastiano Saglimbeni
Le fortunate traduzioni dei Lirici greci di Salvatore Quasimodo, come spesso è stato scritto, generarono nel panorama della cultura letteraria non poche polemiche, pure meschine, subito dopo che il poeta era stato insignito del prestigiosissimo Premio Nobel, invidiato e contestato. A Verona, soprattutto, si pensava che quelle traduzioni fossero state eseguite dalla docente di greco e latino Caterina Vassalini. Quasimodo, già famoso nel nostro Paese, sin dalla divulgazione della sua silloge poetica Acque e terre, aveva conosciuto questa donna, che lo ospitava a Verona ed aveva con lo stesso intrapreso un viaggio nel 1956 tra le meraviglie dell’ Ellade. Per questo, si raccontava pure di una liason sentimentale del poeta con la docente, oggi meritatamente viva nella memoria dei suoi concittadini.
Accade che Quasimodo, paradossalmente, viene ricordato, non tanto come uno tra i maggiori poeti del secolo scorso, ma come un uomo sanguigno, un tombeur de fammes. In vero, si conoscono e sono stati scritti i nomi – definiamole così – delle sue muse.
Di queste, anche fonti di ispirazione e di struggimento, se ne possono ricordare alcune. Il poeta, giovanissimo, all’indomani del conseguimento del diploma di geometra a Messina, convive a Roma povero con Bice Donetti, un’emiliana paziente…
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Quella corruzione antica
di Sebastiano Saglimbeni
Abbiamo letto qualche tempo fa il saggio storico dal titolo Il corrotto/Un’inchiesta di Marco Tullio Cicerone, divulgato da Editori Laterza, a firma di Luca Fezzi, professore associato di Storia romana presso l’Università degli Studi di Padova. Il saggio di cinque parti, con note, alcuni grafici, una Conclusione, un’Appendice, una Bibliografia e un Indice dei nomi. Fezzi è autore di altri saggi storici di pregio. Tra questi, Catilina / La guerra dentro Roma, Modelli politici di Roma antica e Il Tribuno Clodio, che letti ci consentono altre nuove conoscenze del passato remoto della Roma repubblicana con i suoi fatti e misfatti che, disgraziatamente, si ripetono nel nostro tempo. L’autore con questa fatica, di 237 pagine, estrae dall’azione umana, che si è fatta storia, quel governatore della Sicilia, Gaio Verre, autore di gravi crimini, quali la concussione, il peculato, l’appropriazione indebita, il furto, la vendita di sentenze, la manipolazione di appalti, la corruzione elettorale, il sequestro di persona, la frode, l’intimidazione, la tortura, l’omicidio.
Abbiamo letto il nome di Verre nelle pagine dei manuali scolastici di Storia romana e nella Letteratura latina, dalla quale abbiamo appreso delle parecchie opere di Marco Tullio Cicerone. Tratti delle sue Verrine sono stati spesso…
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Pablo Neruda e il suo tributo poetico all’Italia
di Sebastiano Saglimbeni
Dalla prima versificazione che segue, ora breve ora lunga, l’incipit di queste pagine dedicate a Pablo Neruda che soggiornò orgogliosamente più volte in Italia. Poeta tanto famoso e osteggiato come il suo amico Salvatore Quasimodo. Entrambi baciati dalla fortuna per quel guiderdone ricevuto in Svezia, entrambi sanguigni e combattivi.
Lo so, lo so, non con i morti si son fatti
i muri, le macchine, le panetterie:
forse è così, non c’è dubbio, però
la mia anima non si nutre di edifici,
non riceve salute dalle fabbriche,
neppure tristezza. Il mio tormento è per quelli
che mi precedettero, che mi diedero sole,
che mi comunicarono esistenze,
e adesso che me ne faccio dell’eroismo
dei soldati e degli ingegneri,
dov’è il sorriso
o la pittura comunicativa,
o la parola che insegna
o il riso, il riso,
la chiara risata
di quelli che ho perduto in quelle strade,
in questi tempi, in queste regioni
dove io mi fermai e loro continuarono
sino alla fine del viaggio…
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Federico Garcìa Lorca – L’infanzia, l’innocenza, l’eros e la morte
di Sebastiano Saglimbeni
Qui voglio vedere gli uomini di voce dura…
Qui voglio vederli. Davanti alla pietra…
Voglio che mi mostrino l’uscita
per questo capitano legato dalla morte.
“Fu visto, camminando tra fucili, in una lunga strada,/ uscire ai freddi campi,/ ancora con le stelle del mattino. / Uccisero Federico / quando la luce spuntava. / Il plotone dei carnefici / non osò guardargli la faccia. / Tutti chiusero gli occhi; mormorarono: / neppure Dio ti salva. Cadde morto Federico/ – sangue alla fronte e piombo nelle viscere – . / Sappiate che fu a Granada il delitto – / Povera Granada! -, nella sua Granada…”. Versi, questi, di un testo poetico che Antonio Machado scrisse per la morte di Federico García Lorca: qui fortemente intese la denuncia e la costernazione per la fine ignominiosa toccata al giovane poeta andaluso, tanto puro, quanto grande.
Con questo incipit ho voluto indicare l’epilogo di una vicenda umana, tutta culturale, creativa. Che ricordo non mosso da quell’eccessività di genere entusiastico per il poeta, ma come lettore e, in qualche modo, interprete della sua scrittura, assai estesa, che continua a coinvolgere per il linguaggio e le immagini, capaci di generare scelte presso le fresche generazioni. Ora nel discorso che segue mi propongo di trattare agilmente l’esistenza, l’ambiente, l’opera, la fine biologica di Federico García Lorca.
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