Ricerche storiche

Quando si sfornavano maestre fasciste ad Alì Marina
di Franca Sinagra Brisca
Il ritrovamento di carteggi privati riserva sempre una messe di documentazione esperienziale da cui è semplice evidenziare le ricadute nel vissuto presente, visto che di recente si è ripetuto l’assalto in stile squadrista alla sede sindacale di Roma.
Due documenti, ritrovati frammisti al carteggio dalla Guerra ‘15-18 dei coniugi Paparoni di Capo d’Orlando, riguardano la corrispondenza con la figlia quindicenne nel convitto dell’Istituto Magistrale Femminile “Maria Ausiliatrice” di Alì Marina (ME). Conclusa la scuola primaria, secondo l’abitudine della buona borghesia in un periodo in cui l’istruzione superiore femminile era appannaggio esclusivo di ordini religiosi, in epoca piena fascista, Carmelina era stata mandata nel prestigioso convitto presso le suore ad Alì Marina.
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San Gregorio borgo marinaro di Capo d’Orlando: ricordi di antifascismo al femminile
di Franca Sinagra Brisca
Nell’antico porticciolo peschereccio, a quasi un centinaio di metri sulla via oltre la cala delle barche, si nota dietro la striscia sottile di un’aiuola una casetta bianca, unica al solo pianterreno con porte e finestre aperte in faccia al mare. Contiene la storia di una famiglia di pescatori, raccontata dall’ultimo rampollo, il compagno Antonino Cappa.
La nonna Minuta Maria, sposata con Cono Santaromita, ebbe tre figli, due maschi e Brigida, la quale sposò il forestiero Cappa Domenico, detto Micio, proveniente dalla costa messinese jonica, da Roccalumera. Donna Minuta accolse la nuova coppia in casa sua, dove c’era del vuoto lasciato dagli uomini emigrati oltreoceano, sebbene ancora presenti sotto l’aspetto economico per via delle rimesse che permettevano alla famiglia una vita appena dignitosa…
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La repressione popolare in Sicilia durante la dittatura fascista
di Domenico Stimolo
E’ doveroso ricordare i tanti siciliani che furono perseguitati dal sistema repressivo fascista. Un insegnamento di libertà per tutti, specie per le nuove generazioni.
Non è facile riassumere in poche pagine gli atti e le dinamiche liberticide che furono ampiamente praticate in Sicilia durante la dittatura fascista che coinvolsero in varie forme e maniere migliaia di cittadini, uomini e donne.
Più che alla composizione del blocco di potere fascista che si venne a costituire nella nostra regione, agli atti di violenza che si consumarono in maniera efferata dall’inizio del 1920 fino alla cosiddetta “marcia su Roma” dell’ottobre del 1922 e negli anni immediatamente successivi (questa tematica riveste una propria diretta specificità da affrontare separatamente), si ritiene particolarmente importante riportare alla memoria le conseguenze determinate dalle leggi repressive messe in opera dalla dittatura, con particolare riferimento ai siciliani inviati al confino…
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Le manovre della Dc a Sant’Agata di Militello appena liberata dagli alleati, in un diario autografo del 1944
di Franca Sinagra Brisca
È stato ritrovato di recente il manoscritto autografo di Peppino Vasi datato 1944 e intitolato “Registro segreto per quanto riguarda la camera dei lavoratori”. Nel manoscritto il sindacalista santagatese riporta gli intrighi, gestiti nell’organizzazione dei rapporti politici della Sicilia “liberata”, dagli inglesi penetrati da poco nel territorio siciliano con lo sbarco dell’estate ’43.
Segue un estratto dal Diario segreto, riportato con la maggiore esattezza, che non ha bisogno di ulteriori chiarimenti nell’interpretazione, ma è utile all’approfondimento della ricerca storica su quello specifico momento temporale e territoriale…

La rivoluzionaria di professione Teresa Noce
di Sebastiano Saglimbeni
“Gli SS gallonati si dichiararono ufficiali medici. Senza neppure lavarsi le mani, ci fecero distendere su alcuni lettini e ci visitarono, ossia ci guardarono in bocca e nel sesso. Poi ancora a forza di raus e di schnell ci fecero passare in un altro stanzone dove alcune deportate ci fecero distendere ancora una volta e ci rasarono il pube e le ascelle”.
Un tratto, questo, del libro dal titolo “Rivoluzionaria di professione” che Teresa Noce pubblicò nel 1974 a quasi vent’anni dalla deportazione in Germania, nel campo di Ravensbruck, e in Cecoslovacchia, dove era stata assegnata al lavoro forzato in una fabbrica di munizioni. In un altro tratto del libro racconta che le deportate nude in un cortile “per sei ore sotto il sole cocente” vennero di nuovo visitate dai medici che fecero loro “allargare le gambe e, sempre in piedi”, esaminarono il loro sesso “passando dall’una all’altra senza mai lavarsi le mani”. Di conseguenza, una delle giovani francesi internata aveva contratto la sifilide, “pur essendo ancora vergine”.
Foto estratta da https://www.strisciarossa.it/teresa-noce-tra-fedelta-e-ribellione-storia-di-una-comunista-oscurata-dal-pci/
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I cattolici nel ventennio fascista a Messina
Il Partito Popolare Italiano fu costituito nel febbraio del 1919 ed il 29 dello stesso mese appare sulla “Scintilla”, organo della curia messinese, la notizia della sua nascita; <<con la coscienza di compiere il più alto dei nostri doveri come cittadini italiani e cattolici militanti, diamo la nostra piena adesione al nuovo partito popolare; ciò che oggi è un fatto compiuto, è stata per molti anni la nostra aspirazione più viva>>. Sul periodico “L’attività cattolica di Messina e provincia” edito dalla Nuova Società Operaia di Mutuo Soccorso S. Giuseppe viene pubblicato il programma del P.P.I. nella redazione, tra gli altri, c’era Attilio Salvatore, una delle figure più prestigiose del popolarismo messinese. Il nucleo promotore proveniente dalla vecchia Unione Elettorale Cattolica si muove sula spinta dell’imminenza delle consultazioni elettorali; infatti, il 12 febbraio 1919 si costituisce la sezione comunale del P.P.I per Messina e provincia. La riunione si tiene nello studio dell’avvocato Fortino, ad essa partecipano le rappresentanze dei Circoli Cattolici, Confraternite, consiglieri comunali e provinciali e rappresentanti della “Scintilla” e de “L’Attività Cattolica”.

Un comunista adamantino: Umberto Fiore, e un’intervista del 1974
di Giuseppe Restifo
L’intento non era principalmente di natura scientifica, quanto di natura politica, quando fu fatta l’intervista al sen. Umberto Fiore, il 4 marzo del 1975.
A distanza di quarant’anni forse è giunto il momento di riavviare – stavolta con maggior proponimento scientifico – un procedimento di ri-legittimazione delle talvolta contrastanti esperienze dei comunisti meridionali, consumate a preferenza dentro il Partito (anche quando ne parlavano si sentiva la P maiuscola…).
Deliberatamente allora si ripropone quell’intervista di quarant’anni fa, capace di restituire autorevolezza all’esperienza di un comunista adamantino, come Umberto Fiore. Lo si fa anche “per non dovere intraprendere, generazione dopo generazione, la fatica improba di cominciare ogni volta daccapo, come se fosse la prima volta, sperperando eredità rese irriconoscibili da rifiuti ideologici”1 e ingiustificate indifferenze. Gli smarrimenti dell’inizio del XXI secolo forse sono dovuti anche alla perdita di memoria storica su chi sono stati i nostri padri e i nostri nonni.
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Il partigiano di Barcellona Pozzo di Gotto Salvatore Maceo
Ricerca effettuata dalla Sezione ANPI Barcellona P.G.
Il partigiano Salvatore Maceo è nato a Barcellona P.G. il 12/09/1920. Maceo partecipa alla II guerra mondiale tra le fila dell’esercito italiano. All’atto dell’armistizio dell’8 Settembre del 1943 si trova presso la XIII Compagnia distaccamento (polveriera) di S. Maurizio D’Opaglio in provincia di Novara (la foto lo riprende a Novara).
In questa fase di grande confusione tolta la divisa dell’esercito decide di raggiungere lo zio Marcello Vasta a Trieste, presso la cui casa rimane fino al luglio del 1944. «Per non presentarsi alla chiamata alle armi bandita dalla repubblica sociale italiana, si arruolava assieme ad altri elementi in una formazione partigiana istriana in località Buio D’Istria, tramite l’opera di reclutamento che facevano alcuni agenti del locale C.L.N.»
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Sull’epistolario di Francesco Lo Sardo
di Sebastiano Saglimbeni
Il faticoso cammino delle plebi della Sicilia verso il loro riscatto è indissolubilmente legato al suo nome.
L. Valiani
Dobbiamo ricordare in premessa a quanto segue che Francesco Lo Sardo nella chiusa del suo primo Memoriale, redatto nel carcere di “Regina Coeli” nel 1927, dopo un anno di detenzione, conclude: “Noi possiamo intonare, con sicura coscienza, l’orazione Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor” (Sorga dalle mia ossa un vendicatore!) Questo ricorso al verso virgiliano 625 del IV libro dell’Eneide suona come un messaggio e una conseguente rivendicazione della sua giusta causa ideologica e dell’ingiusta, ignominiosa e letale prigione decretata da quel potere fascista imperante. Un vendicatore potremmo considerarci noi: per tutto ciò che abbiamo provato a costruire, riscattando e facendo in qualche modo circolare il pensiero scritto lasciato da Lo Sardo.
Va detto che sino alla seconda metà del 1970 conoscevamo sommariamente la vicenda umana e politica di Lo Sardo. E’ stato un opuscolo, dal titolo La vita, l’opera e il sacrificio d’un comunista Francesco Lo Sardo, pubblicato nel maggio del 1971, a cura della Federazione del PCI di Messina e della Federazione dei Nebrodi, a sollecitarci di curiosità e di interesse storico per il protagonista.
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