Le manovre della Dc a Sant’Agata di Militello appena liberata dagli alleati, in un diario autografo del 1944

Ricerche storiche

Le manovre della Dc a Sant’Agata di Militello appena liberata dagli alleati, in un diario autografo del 1944

È stato ritrovato di recente il manoscritto autografo di Peppino Vasi datato 1944 e intitolato “Registro segreto per quanto riguarda la camera dei lavoratori”. Nel manoscritto il sindacalista santagatese riporta gli intrighi, gestiti nell’organizzazione dei rapporti politici della Sicilia “liberata”, dagli inglesi penetrati da poco nel territorio siciliano con lo sbarco dell’estate ’43.

Segue un estratto dal Diario segreto, riportato con la maggiore esattezza, che non ha bisogno di ulteriori chiarimenti nell’interpretazione, ma è utile all’approfondimento della ricerca storica su quello specifico momento temporale e territoriale.

“Addì 27 del mese di Febbraio 1944, nel locale provvisorio di Via Campidoglio 60, si sono riuniti i pescatori per costituirsi in lega. Dopo ampia discussione l’assemblea ha designato il Comitato direttivo ed il segretario. Il 2/3/944 Il Cav. Eugenio Bordonaro già segretario politico di S. Agata ha mandato a chiamare il componente il Comitato direttivo rimproverandolo per avere aderito alla Camera del lavoro “F. Lo Sardo” di Messina. Gli ha detto inoltre che alla camera del lavoro si iscrivono i senza Dio, i senza famiglia, i distruttori dell’umanità. Il Cav. Lipari Felice, la sorella, hanno invitato il sopraddetto, il compagno Corrao Andrea, Azzarello Paolo ed altri, gli hanno detto di staccarsi subito se non vogliono la maledizione di Dio sulle loro case. I preti salesiani di quest’Istituto “Sacro cuore” hanno fatto altrettanto!

Oggi 5 Marzo 1944 sono stato invitato dal Cav. Annibale Bianco ad una riunione ove vi erano una cinquantina d’invitati. Ci ha detto che sottoponeva a noi un programma chiamato “ricostruzione Siciliana”. Dopo averlo letto e commentato ci comunicò che detto programma abbisognava di molte modifiche per ciò che riguardava i diritti sociali dei lavoratori. Pregò a tutti i presenti di collaborarlo nelle modifiche da apportare, a suo tempo, e quindi di firmare su un foglio di carta non come impegno di adesione ma per sapere che era disposto a dargli i lumi necessari ed opportuni al grave compito. Molti firmarono! Al fine di essere sempre presente, firmai anch’io.  

7 Marzo 1944.  Dopo due giorni il Cav. Bianco mi chiamò e mi disse: “Vedi ti ho invitato quale segretario della Camera del lavoro, perché tu devi fare opera di persuasione presso i lavoratori affinché passano in massa al mio partito”. Gli feci osservare che il programma era in contrasto con la camera dei lavoratori e che non avrei potuto tradire quelli che mi avevano scelto come segretario. Allora mi investì “Tu sei comunista, tant’è vero che la costituzione della lega è stata pubblicata in un giornale comunista” e mi mostrò l’organo del PCI ”Verità”. Il direttore –mi disse- è Umberto Fiore che è a capo della Camera del lavoro di Messina. Voglio che tu lo sappi, comunismo qui non se ne deve fare”. Gli feci osservare che la Camera del lavoro non era un partito e che avrei fatto tutto il possibile per togliere i lavoratori dalla schiavitù, come tentai fare nel 1931-32-33-34-35-36 mentr’ero ai Sindacati. Mi disse “ma sei andato a finire male” dopo ciò lo piantai e senza salutarlo me ne andai.

10 Marzo ’44. Da vari giorni un sacco di calunnie contro la camera del lavoro! I lavoratori si presentano e vogliono essere cancellati. Ci sono baruffe nelle famiglie dei lavoratori: le donne implorano i mariti e i fratelli a non fare parte alla Camera del lavoro. Mi faccio in cento per convincere tutti che sono ingannabili esorto a non dare ascolto – ma non ne vogliono sapere. Oggi è venuto a casa mia un sergente della Polizia inglese a nome Murat, il quale mi invitò a fare una passeggiata verso il torrente Cannamelata. Mi disse che desiderava sapere s’ero comunista. Gli risposi di no! …”.

Il diario stigmatizza la manovra politica degli alleati favorevoli alla D.C. di tradizione fascista, in linea con la scelta americana del rimpatrio di Luciano Liggio. Si sa già che gli americani erano entrati in Sicilia col piede sbagliato verso la democrazia (il moderno peace keping in Medio Oriente lo riconferma), e arriva spontaneo alla mente il riferimento cinematografico al film di PIF, dove due siciliani, seduti su una panchina davanti alla Casa Bianca, aspettano ancora una adeguata risposta degna delle parole allora sbandierate. In queste pagine il metodo alleato può essere definito sostanzialmente mafioso, perché c’è un prezioso riferimento a quell’Umberto Fiore che era stato antifascista, compagno del martire On. F. Lo Sardo, e che sarà fra i siciliani parlamentari a Roma nella Repubblica. Invece il personaggio di Annibale Bianco, individuato in altra parte del diario come liceale e agricoltore già nazionalista, sarà poi regolarmente eletto deputato all’ARS.

Fin dalla lettura delle prime tre pagine del diario si scoprono i metodi antidemocratici messi in campo dagli alleati, sulle cui spinte la Sicilia voterà per la monarchia nel referendum del ‘46 stabilizzando il problema della Questione Meridionale.

L’osservazione della manovra di compressione politica sulla popolazione santagatese conduce a ragionare anche sulla prossima strage di Portella della Ginestra e introduce l’onda lunga della persecuzione del sindacalismo fino ai fatti di Avola nel ’68. La riflessione sulle conseguenze socio-politiche può essere inscritta nella valutazione dell’adesione ideologica della sinistra popolare alla CCCP/Unione Sovietica e il clima della guerra fredda fino al muro di Berlino.

Chi ha letto La mia isola è Las Vegas di Vincenzo Consolo si è chiesto chi fosse quel Peppino Vasi, che egli descrive e conobbe da bambino come compaesano, e racconta di lui in scorci storici di fatti avvenuti nella sua Sant’Agata di Militello (ME), ricevendone forse un primo imprinting nella scelta del campo politico. A scanso che Vasi venga interpretato come un privato osservatore complottista comunista, egli era persona mite, che nella peste dell’epoca fascista decise per una scelta di giustizia, fino ad assumere la capacità del ruolo politico di organizzatore nel suo paese d’origine e di domicilio, evidentemente confermato da un comportamento affidabile presso quella sua comunità.

Consolo bambino riferisce in quelle pagine con vivida memoria ciò che, in tempi diversi, aggrappato alla ringhiera del balcone di casa, vide passare nella piazza principale antistante e che impresse nella memoria: riaffiorano gli squadristi della sede del fascio inneggiare alla guerra, le colonne dei tedeschi invasori in marcia, i cannoneggiamenti dal mare e dal cielo degli americani, incolonnati insieme agli inglesi, su camion blindati e anfibi, con soldati neri e soldatesse dai capelli biondi… Sentì “il comunista Peppino Vasi, ch’era stato sotto il fascismo  mandato al confino nelle Eolie (in villeggiatura, dice oggi Berlusconi), denunziare le malefatte dell’ultimo podestà e dei suoi scherani, inveire contro quei fascisti parassiti del circolo Dante Alighieri (il cameriere, a quelle parole, ritirò le poltrone dalla piazza e chiuse porte e finestre del circolo). E sentii ancora Nenni e Girolamo Li Causi, il separatista Finocchiaro Aprile, che ebbe un vigoroso contraddittorio da parte del giovane avvocato Fresina, che era stato tra i partigiani in Piemonte.” (pag. 203) […]

Ma dal balcone mio sulla piazza Vittorio Emanuele io vidi altro, vidi scioperi dei braccianti e il corteo di protesta per la strage di Portella della Ginestra…”

Consolo riporta un altro fatto, avvenuto durante un comizio nella piazza del suo paese, quando sentì un tale chiedere chi fosse il comiziante:

“Peppino Vasi, il comunista che era da poco tornato dal confino, gli dà una spallata e gli fa: ‘che ridi piccolo borghese scimunito? Tu non sai chi è quell’uomo. È un eroe della Resistenza, ed è stato ferito a Villalba dai mafiosi di don Calò Vizzini. Ma tu che sai, che sai? Vai alla scuola dei preti che ti insegnano il contrario’. Peppino Vasi era della marina e là, nel quartiere dei pescatori, aveva fondato la sezione “Alongi” del Pci. Per le elezioni del Quarantotto, vennero pure ad Alèsia i preti comizianti […] ma questi non parlarono nella piazzetta dove sopra un muretto aveva parlato ai contadini Girolamo Li Causi, ma dal balcone del palazzo delle suore che si affacciava sulla piazza della matrice. E non parlarono certo in siciliano come Li Causi, i due preti, e Alessandrini anzi finì il suo discorso, alludendo certo al Vasi e ai pescatori comunisti: ‘Padre perdona loro perché non sanno mica quel che si fanno’. Ma, cos’era quel mica? Mica e non mica, il 18 aprile del Quarantotto vinse in Sicilia e in tutta Italia la Democrazia cristiana” (pag. 224).

Nell’elenco dei confinati siciliani, presso l’Archivio di Stato, viene tracciata la storia dell’uomo limitatamente a quella situazione nel periodo fascista, quindi vi si trova una biografia piuttosto tormentata, come quella dei tanti nelle panie di quell’epoca nera. Invece la militanza di Vasi nel Pci del dopoguerra è per testimonianza di Consolo onorevolmente attiva ed è noto che la sua presenza nel partito è proseguita negli anni seguenti.

A cura di Franca Sinagra Brisca