di Franca Sinagra Brisca

Fra gli orlandini è storico il nome di Zebedeo Basile, il sarto, il compagno ritenuto fra i fondatori del PCI in paese, l’uomo di fiducia, la lucida e libera memoria storica del luogo, la miniera di fatti colti nella loro essenza di eventi umani socialmente incisivi. Ai tempi dell’antifascismo ovunque in Sicilia i sarti furono elementi di collegamento clandestino fra i militanti antifascisti e molti pagarono con persecuzioni e confino.
Rievocare l’esperienza di Zebedeo nell’ascolto di Radio Londra permette di misurare l’evoluzione dell’informazione in settant’anni, specie se confrontata al ruolo attuale dei media e dei social, rispetto alla cronaca puntuale ora per ora di quanto succede fra Russia e Ucraina, al ritmo di un martellamento inarrestabile. Mentre da più parti si afferma che nella propaganda di guerra la prima a morire è sempre la verità storica, nonostante il tema della verità sia da sempre la missione del giornalismo, la guerra militare è stata sempre strasferita in guerra di informazione, distorta a vantaggio dei duellanti e giocata anche oggi con strumenti evoluti e molto pervasivi. Nel 1944 la radio era, insieme al telegrafo, il solo mezzo di trasmissione vocale, quasi sempre criptata in codice, e Radio Londra fu l’unica fonte indubitabile a favore della controinformazione alla propaganda fascista e nazista (altri mezzi in trincea, vocali e di volantinaggio, sussistevano dalla I Guerra).
L’informazione a Capo d’Orlando coinvolse il sarto Zebedeo (classe 1921), vissuto a lungo, circa 96 anni, infatti già anziano lo si poteva incontrare svettante in calzoncini su una storica bicicletta, oppure lo si poteva osservare, sbirciando oltre la vetrina della sartoria, lavorare curvo d’ago e stiro nel laboratorio sulla via Colombo, stretta e, come le vie dell’insediamento orlandino originario, a pettine verso la spiaggia.
Anni fa gli chiesi di raccontarmi del periodo della guerra e le sue precise articolate risposte, puntualizzate con “di più non voglio dirti”, non debordarono mai nel pettegolezzo, benché di tanti conoscesse vita, morte e miracoli.
Arruolato giovanissimo alla guerra, riuscì a non imbracciare il fucile in combattimento rendendosi insostituibile nel fare il sarto, o il musicante di banda o l’infermiere, sia a Roma che a San Cataldo in Sicilia. Soldato in licenza breve nel settembre del ’43, disertò per rimanere nel suo paese, dove suo interesse vitale era anche visitare la fidanzata sfollata con la famiglia in una casupola della contrada Catutè, sul pianoro che sovrasta a piombo il paese addensato sull’arenile tirrenico. Appiedato, saliva la sterrata nella penombra del tramonto, fischiando un particolare motivetto con cui anticipava alla ragazza il suo arrivo, segnale convenuto che l’avrebbe fatta uscire di casa a prendere un po’ d’aria fresca. Il divieto fascista alla libertà di comunicazione in tutti i campi del vivere, suscitò nella gente comune la sortita del fischiettare, diventata all’epoca il più diffuso mezzo di comunicazione a breve e media gittata, sia per i partigiani che per i civili. Nello stesso periodo i catutioti scendevano di giorno ad ammucchiarsi nella galleria ferroviaria di San Gregorio, affamati e variamente disagiati, per ripararsi dai bombardamenti alleati (là dentro un ragazzino soddisfaceva la fame rubando nocciole e tocchetti di pane duro abbandonati per terra). In quel tempo Zebedeo Basile riuscì a perseguire insieme sia la sopravvivenza che il diritto al proprio futuro.
Era rifugiata in paese, sfollata di guerra, anche la palermitana principessa Beatrice Mastrogiovanni Tasca Filangieri di Cutò sposata al principe Tomasi di Lampedusa, madre del romanziere Giuseppe, e sorella di quella Teresa residente nella villa-feudo fuori paese, separata di fatto dal barone Piccolo di Calanovella e madre del poeta Lucio. Con una vena d’ironia sorridente Zebedeo precisava che le nobili sorelle non andavano d’accordo, così la principessa Beatrice, rievocando della genealogia il filone liberale e libertario, alloggiava borghesemente nell’albergo “Flora” in via Piave invece che nobilmente presso la sorella.
Racconta il sarto che Beatrice, personalità forte e decisa, si sintonizzava su Radio Londra e offriva quelle informazioni aprendo quotidianamente il salotto ad alcuni giovani locali fra i quali lui. Teneva infatti a quei pochi e colti ospiti una specie di seminario antifascista su principi filosofico – politici, cui partecipavano anche il figlio e la nuora lituana. La stima per la logicità colloquiale del sarto, l’acume del discorrere, l’umanità a fondamento del punto di vista di artigiano antifascista, sostennero l’accoglienza salottiera anche del giovane Zebedeo, le cui doti erano apprezzate dalla principessa liberale che sapeva distinguere fra livello d’istruzione mancata e autentica cultura umana maturata in proprio.
Le notizie di Radio Londra venivano poi fatte circolare nel gruppo degli antifascisti, tutti bisognosi di riparazioni sartoriali (del resto era l’epoca in cui le stoffe dei capi usurati venivano rivoltate e ritinte per confezioni di taglie inferiori e per vari ricicli). Gli incontri al seminario durarono pochi mesi, finché la principessa si trasferì nel vicino comune di Ficarra in una casa parentale, e si sa che al ritorno a Palermo la principessa avrebbe trovato il palazzo residenziale distrutto dai bombardamenti alleati, mentre della città non rimanevano che macerie.
Un completo servizio giornalistico in video di Pippo Galipò resta oggi patrimonio culturale per un’autobiografia raccontata da Zebedeo stesso in intervista. Il sarto si autodefiniva un drogato del lavoro perché attribuiva alla propria abilità sartoriale la sua fortuna e salvezza nei frangenti della guerra e della sopravvivenza, era a suo dire consapevole di aver avuto l’intelligenza di affiancarsi a persone di valore e di aver ricavato la necessaria maturazione alle scelte di vita dalla frequentazione della gente di sinistra.
Con la Repubblica, la federazione comunista dei Nebrodi divenne la più numerosa nel messinese e Zebedeo continuò ad attivarsi nel ruolo di riferimento per i molti importanti rappresentanti politici che lo frequentarono come Simona Mafai, Pancrazio De Pasquale e Antonia Alberti, Giorgio Napolitano, Achille Occhetto, Armando Cossutta, Paolo Bufalini, molti personaggi di cultura come Tono Zancanaro, Migneco …e tutti probabilmente indossarono abiti sartoriali di ottima fattura artigianale!
Zebedeo fece parte dell’opposizione di sinistra nel Consiglio comunale orlandino, dove si batté invano per il Piano Regolatore, che a suo dire era finito in mano agli speculatori, motivo per cui il paese era cresciuto “malamente”, cioè secondo la legge del profitto. Non si riconobbe nella veste di tribuno in carriera, ma senz’altro in quello di storico e acuto osservatore di persone e di avvenimenti.
Il suo evidente piacere nel raccontarmi l’ascolto di Radio Londra rievocava in lui una situazione formativa dichiaratamente felice.
Di fronte alla nota asserzione che chi non ricorda gli errori del proprio passato (la partecipazione fascista alla II Guerra) è condannato a ripeterli, ci si chiede, incalzati dall’informazione di quest’ultima guerra in Ucraina, quale sia per noi la situazione in/formativa oggi. Che fare? E’ utile rivolgersi a Gino Strada che la guerra ha voluto conoscerla e combatterla direttamente sul campo sostenendo la vita, alla sua eredità scritta nel libro/autobiografia postuma (Simonetta Gola. Una persona alla volta. Feltrinelli 2022). Qui si legge che, pur desiderando usare bene la testa, è normale che ci fidiamo di racconti storici e giornalistici pieni di nomi politici, economici e geografici che noi riteniamo, così si presentano, validi alla stregua di prodotti scientifici. Gino Strada constata che tali narrazioni sono diventate sorpassate di fronte a come è cambiata la guerra, a come gli stati la progettano e la indirizzano agli effetti desiderati, questione astrusa perché ancora obbliga gli stati a coagularsi in alleanze dagli interessi faziosi. Prendendo atto dell‘atrocità di questo metodo di relazioni internazionali e del fatto che la guerra non ha alcun effetto utile, se non per i produttori di armi, il concetto di guerra, che Strada ripercorre quasi sfogliandone la retorica, oggi ci risulta una macchina composita che cresce in potenza distruttiva: “Le vittime non combattenti, una su dieci all’inizio del Novecento, erano diventate nove su dieci alle soglie del Duemila …”