di Sebastiano Saglimbeni

Sono ventuno, che si leggono come brevissimi
romanzi. Un’ennesima singolare sorpresa dello
scrittore, poeta e saggista calabrese vivente a
Pomezia, nei pressi di Roma. Singolare sorpresa
ch’è stata divulgata di recente dalla fertile Genisi
Editrice di Torino.
Questi racconti invero avvincono per le istanze
sociali, per l’aperto autobiografismo, per il ricorso
alla figura retorica della metafora e per la
frequente beltà delle aree di terre che nutrono
uliveti, aranceti ed altri alberi della Calabria. Del
nono racconto, ”Non circola l’aria”, prende titolo
il volume di oltre 200 pagine con sulla copertina
una illustrazione raffigurante “La battaglia fra il
Carnevale e la Quaresima” di Pieter Bruegel il
Vecchio e con un accurata, nel risvolto, nota
interpretativa di Sandro Gros-Pietro. Per questa
meditata e sofferta fatica dell’autore mi pare
opportuno ricordare una frase del Premio Nobel
Luigi Pirandello. Che scriveva: “Il gusto della vita
ci viene di là dei ricordi che ci tengono legati”.
Tanti ricordi difatti in questi racconti con l’ultima
ignobile guerra mondiale e con dopo tutto vissuto,
intus et in cute, da Defelice ragazzo, adolescente,
giovane in terra della sua Calabria dall’antica e
contemporanea cultura, dei grandi lavoratori della
terra e di coloro che continuano a preferire la
tenebra alla luce. Il saggista Sandro Gros-Pietro
commenta, fra l’altro: “Tutto il libro ricostruisce,
attraverso lo scheletro autobiografico ricavato
dalla vita dell’autore, un ricco mosaico che
racconta la personalità comune a tutti gli uomini
di buona volontà: essere alacri sognatori onesti e
straordinariamente operosi, impegnati a difendere
e diffondere la giustizia, la libertà, l’uguaglianza
nel tentativo assai difficoltoso di fare circolare
aria nuova nel mondo in cui viviamo,
continuamente osservato per ciò che potrebbe
essere nella ricostruzione che noi rielaboriamo
con la nostra cultura”. E può giovare, per chi ci
leggerà, riprendere un breve tratto del racconto
“La banda tedesca”. Qui la descrizione dell’autore
è cruda e nuda, complice l’infamia dei Tedeschi,
che usciti dalla Sicilia, risalivano la nostra
penisola distruggendo e razziando. Da una
settimana la famiglia dell’autore si era trasferita in
campagna. Un pomeriggio, mentre era raccolta
nell’aia “difronte alla casetta vedemmo
all’improvviso una schiera di Tedeschi uscire dal
flotto dei castagni e venire verso di noi”, il nostro
prosatore, con vivida in mente la memoria di un
ragazzo, scrive. “Erano una ventina, armati di
fucile, pistola e pugnale e, tranne il capo – un
omaccione dai grandi baffi rossicci e dagli occhi e
torvi – ognuno di loro portava addosso anche uno
strumento musicale(…). Non dissero una parola.
Minacciandoci con le canne dei fucili, ci fecero
accostare al muro, accanto al cane che io
continuavo ad accarezzare nel tentativo di farlo
stare buono. Mentre due di loro ci tenevano a
bada, gli altri si sparpagliarono alla ricerca di
cibo. Vedemmo le galline strozzate ad una ad una
e infilate in un sacco di juta; poi toccò al povero
maiale, un grasso esemplare della razza Cinta. Tre
giganteschi soldati lo atterrarono e, mentre lo
tenevano inchiodato sotto i loro smisurati
scarponi, un altro lo pugnalò ripetutamente alla
gola. Poi gli legarono a mazzo le zampe,
infilandovi un grosso ramo di ulivo per portarselo
due di loro comodamente via”.
Un pezzo di storia tragica questo testo “La
banda tedesca” che non può non far riflettere sulla
guerra che ancora imperversa sul nostro pianeta.
“Nulla salus belli” (Nessuna salvezza in guerra),
scriveva più di due millenni or sono, il poeta
mantovano Virgilio. Allo scrittore Defelice,
ragazzo, la guerra lasciò come un segno. Che si
trasmutò in volontà di esistere dignitosamente con
il lavoro e con la sua lunga messe di consistenti
scritture. Che credo di avvicinare a quelle del suo
corregionale Saverio Strati.