Le ceneri di Pasolini

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di Giuseppe Martino

Cent’anni di P. P. Pasolini, sono i 33 processi a cui Pasolini è stato sottoposto in vita. Divenne vittima dell’Italietta piccolo borghese

P.P. Pasolini – Disegno di Maurizio Gemelli

La sorte toccata a Pasolini da morto è quella comune a molti altri artisti del vivere: vituperati e perseguitati da vivi, imbalsamati da morti. L’imbalsamazione presuppone un iniziale spazio sulle antologie scolastiche e la successiva espropriazione della sua persona da vivo e delle sue opere. Così che chi lo riscopre “leghista” antemarcia per i suoi scritti giovanili sull’autonomia friulana, chi “tradizionalista” perchè teorico della ormai celebre “omologazione culturale”, altri “cattolico” e via enumerando. Insomma è stato fatto diventare un personaggio ecumenico, a cui si può ricorrere all’occorrenza per le proprie battaglie politiche o religiose, tirandolo da una parte, ritagliando brani avulsi dal loro contesto dall’altra, così da fargli dire tutto e il suo contrario.

Sembrano dimenticare le campagne aggressive e insultanti di quei settori di borghesia reazionaria e ignorante, di tutti i benpensanti che alle sue ragioni e alla sua poesia reagivano volgarmente rinfacciandogli la sua omosessualità o il suo essere marxista. Reazioni povere e meschine, di per sé, ma con alle spalle apparati politici e religiosi e i loro giornali che trasudavano ipocrisia e disprezzo.

Un’altra tappa della sua imbalsamazione è stata quella di esaltare solo l’aspetto di polemista politico, così come appare nelle “Lettere luterane” e negli “Scritti corsari”, a scapito del suo essere poeta e scrittore; e stato appiattito, cioè, sul ruolo del profeta dello sfascio italiano, di chiaroveggente intrappolato nell’attualità.

Allora, nei primi anni settanta, quando lui scrisse di quelle cose nessuno o quasi reagì; in particolare quegli stessi che portavano sulle spalle la responsabilità del degrado politico e istituzionale e che nulla fecero per porvi rimedio. Lui fu profeta anche perchè la nostra storia recente è costellata di ritardi, blocchi, misteri e rimozioni di una coscienza civile in ritardo di quarant’anni. Così il famoso “Processo al Palazzo”, teorizzato provocatoriamente da Pasolini, solo in parte si realizzò agli inizi degli anni novanta per opera sopratutto della magistratura e che innescò un conflitto tra poteri che ancora oggi continua con esiti controversi (il potere politico punta sostanzialmente all’impunità e al controllo politico del potere giudiziario); allora quando lui ne parlò ci fu l’arrogante risposta del potere, della DC in primis, che per bocca di un suo leader dichiarò che mai avrebbe permesso a chiunque di sottoporla a processo.

La vera dimensione di Pasolini, dunque, non può essere univoca, perchè lui è allo stesso tempo poeta lirico e civile, scrittore, regista, saggista colto e giornalista “corsaro”. La sua vera coerenza fu di affrontare il rapporto tra l’arte e la realtà usando uno strumento diverso, dicendo nella sostanza le stesse cose. Inoltre in ogni canale di comunicazione presceltovi riversava tutta la sua passione politica e civile, la sua stessa vita così lacerata e ricca di contraddizioni, la sua disperata forza vitale. Le ragioni che stanno alla base dell’autorevolezza delle sue risposte non stanno solo nell’aver negato l’opportunismo politico, l’ideologismo, la pigrizia intellettuale, ma nell’aver sperimentato sulla propria carne la realtà con gli strumenti della poesia. E la realtà era quella di un paese passato attraverso rapide e tumultuose trasformazioni da paese a forte impronta agricola, a paese neocapitalista, in cui la cultura del consumo tutto livella e omologa. La cultura contadina, quella operaia o delle borgate scompaiono per far posto al “nulla” che nega l’utopia e la storia.

E’ la ricerca di un’identità negata unita alla nostalgia di un mondo perduto, che ci regalano i versi stupendi delle sue poesie (Le Ceneri di Gramsci, Le belle bandiere, La religione del mio tempo, Poesia in forma di rosa), le immagini di civiltà scomparse e di innocenze primitive (Il fiore delle mille e una notte, i racconti di Canterbury, il Decameron). Avendo così riportato anche gli “Scritti corsari” e le “Lettere luterane” alla loro naturale dimensione letteraria, da esse si può trarre finalmente anche la loro vera dimensione politica. Lui stesso ce ne dà conferma, con una stupenda lezione di metodo, in un celeberrimo scritto: “Io so”.

“Io so perchè sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscer e tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace, che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà e la follia e il mistero.”

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