RELAZIONE AL CONGRESSO PROVINCIALE. Messina, 4 dicembre 2021
di Fausto Clemente
Compagne e Compagni, Amiche e Amici,
Il Congresso di oggi ha il compito di tracciare un bilancio della presenza dell’ANPI nel territorio e nella società di Messina e Provincia, ma soprattutto di guardare all’immediato futuro, per segnare un percorso in avanti di cittadinanza attiva e “resistente” con spirito, metodo e iniziative adeguate al tempo che stiamo vivendo e alla gravità dei problemi che esso ci pone: problemi che, presenti già all’alba di questo secolo, nel giro di pochi anni hanno assunto dimensioni che forse nessuna epoca ha mai visto prima d’ora.
Un quadro ampio e ragionato della condizione contemporanea occupa la prima parte del Documento politico e programmatico per il XVII Congresso dell’ANPI varato nel Maggio scorso dal Comitato nazionale. Chi ha letto il Documento ne ha di certo apprezzato il disegno complessivo, nel quale le congiunture delle diverse aree del mondo e le criticità che caratterizzano i vari aspetti della convivenza umana vengono descritte non solo nella loro estensione, ma anche nelle interdipendenze che ne spiegano e spesso aggravano la portata. Un sommario elenco: sul piano internazionale la lenta e contraddittoria ripresa dell’economia mondiale, dopo la crisi esplosa tra il 2007 e il 2009, è stata ulteriormente rallentata dalla diffusione globale della pandemia, con il suo strascico di disagi e iniquità sociali che hanno pesato e continuano a pesare sulle fasce più deboli delle popolazioni e sulle aree meno fortunate del Sud del mondo; i rapporti tra le nazioni hanno visto il proliferare delle guerre locali, delle tensioni internazionali, i segni minacciosi di una nuova contrapposizione anche militare tra le grandi potenze mondiali e soprattutto l’accelerazione del degrado ambientale che ci avvicina drammaticamente a un punto di non ritorno; a questo si aggiunge la tragedia dei flussi migratori, con i morti e le sofferenze immani dovuti alla miopia e al cinismo di molti governanti. La politica, sia in Italia che fuori dai nostri confini, è dominata da incertezze, egoismi nazionalistici, interessi economici che spingono ad accantonare i provvedimenti in grado di salvare le prospettive future di intere generazioni, arretrando su interventi parziali e di breve respiro. Su questo sfondo sono cresciute in modo esponenziale, soprattutto nei paesi ad economia avanzata, insicurezze, diffidenze, paure, rabbia e solitudini, che toccano trasversalmente tutte le classi e i ceti, ma che diventano tragicamente gravi quando si saldano a situazioni di precarietà a causa della mancanza di lavoro, condizione necessaria per la dignità di ogni uomo, baluardo contro l’illegalità e il crimine e strumento di crescita e solidarietà tra i membri della Comunità.
Su questo sfondo appaiono altrettanto inquietanti le emergenze sociali e culturali e le ombre che si allungano sulla democrazia del nostro Paese,. Mentre la crisi economica e sanitaria ha accentuato in modo drammatico l’emarginazione sociale e la povertà di milioni di italiani, sono cresciuti di pari passo atteggiamenti complottistici e anti-istituzionali e l’irrazionale riesumazione di un passato sciagurato che confluiscono nella deriva neofascista, le cui file sono alimentate dal disagio sociale, dalla demagogia populista e dall’ignoranza storica degli italiani sulla vera natura del fascismo e sulle sue responsabilità storiche, politiche e morali.
Di fronte a una condizione tanto complessa, in cui le emergenze del Paese si legano indissolubilmente a quelle globali, l’Anpi ha mostrato una presa di coscienza avanzata rispetto alle analisi e alle proposte di gran parte (per non dire della totalità) delle forze politiche e dei suoi gruppi dirigenti. Una presa di coscienza che scaturisce dalla percezione dei bisogni reali del Paese e dalla intransigente difesa della lettera e dello spirito della Costituzione Repubblicana: democratica e antifascista non solo per la disposizione transitoria che vieta la riproposizione del fascismo sotto qualsiasi forma, ma per lo spirito che la pervade e la illumina, per quel proposito di uguaglianza, di giustizia e di solidarietà così mirabilmente espresso nell’art.3 della Carta.
In questa intransigenza la missione dell’Anpi trova il suo punto di forza e le ragioni dell’ampio consenso che oggi la circonda. I suoi capisaldi sono illustrati nella seconda parte del documento congressuale, ma trovano la loro sintetica e efficacissima formulazione già nella sua premessa, così intitolata: CAMBIARE L’ITALIA: cambiarla, in stretto dialogo con i bisogni reali del Paese, con la voglia esplicita e implicita di reagire all’attuale crisi che si avverte e si allarga in ampi strati della società civile. Per questo c’è bisogno di una convergenza di intenti e di iniziativa da parte di tutte le forze democratiche e antifasciste del Paese. Una grande alleanza, preparata nel corso della presidenza di Carlo Smuraglia, perseguita generosamente sotto la guida della nostra compianta Carla Nespolo e concretizzata negli indirizzi e negli incisivi interventi a tutto campo dell’attuale presidente Gianfranco Pagliarulo. L’Appello dall’ANPI, – che oggi rinnoviamo ai rappresentanti dei sindacati, dei partiti, delle associazioni di Messina ospiti di questa assemblea – non va inteso come l’invito ad una effimera dichiarazione d’intenti, ma come una concertazione operativa rivolta a obiettivi concreti, che ha il suo focus prospettico nella concezione dello Stato italiano come una democrazia “sociale”, ossia come un modello di convivenza in cui l’interesse e i diritti del privato cittadino devono essere compatibili con l’interesse collettivo, partendo da quello dei soggetti più deboli e dalla equa ripartizione di possibilità e risorse. In questa direzione va rafforzata o recuperata la funzione rappresentativa degli organismi che in una democrazia bene ordinata mediano il rapporto tra i cittadini e le istituzioni , da quelli sociali, come i sindacati a quelli politici, come i partiti, a quelli istituzionali come il Parlamento. Nella debolezza degli uni e dell’altro si annidano i rischi di progressivo smantellamento dell’impianto costituzionale della Repubblica, i cui segnali sono presenti e che non è lecito sottovalutare; basti pensare alla malintesa autonomia delle regioni, seguente alla riforma del Titolo V, che configura uno statuto giuridico separato delle regioni più ricche rispetto a quelle tradizionalmente più fragili – socialmente ed economicamente – del Mezzogiorno; o alla strisciante tendenza a svuotare le funzioni delle Camere trasferendo l’iniziativa legislativa all’esecutivo e al suo presidente (di fatto uno scivolamento verso il presidenzialismo).
Partigiani messinesi
Il Documento rivolge poi la sua attenzione alla società civile, alla condizione femminile e a quella degli adolescenti, al mondo del lavoro e all’occupazione, colpito dalla crisi mondiale degli ultimi quindici anni e dagli effetti della pandemia, con la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro, ma anche con una distorsione di fatto dei rapporti tra impresa e lavoro che, aggiungerei, ha la sua tragica cartina di tornasole nello stillicidio di vittime sui luoghi di lavoro che ci offre quasi quotidianamente la cronaca.
Questa, a grandi linee, la sintesi del Documento Congressuale, che affido alla riflessione e al confronto degli intervenuti.
Ma prima di spostare il discorso su Messina e sulla presenza dell’ANPI nella società e nel territorio in questi ultimi due anni, mi sia consentito avanzare qualche considerazione, che vi prego di intendere come contributo personale alla discussione di questa giornata.
Un’osservazione generale che sento di dover fare sul documento è la mancanza di una chiara gerarchia di priorità: la pregevole ampiezza della visione ha forse contenuto la necessità di ordinare le criticità denunciate in una sequenza che ne stabilisca la portata e la precedenza tattica e strategica per i prossimi anni. Senza alcuna pretesa di sopperire a questo limite, mi limiterò ad accennare rapidamente a pochi altri temi la cui oggettiva rilevanza non emerge a mio avviso con l’evidenza che meriterebbe.
Anzitutto un cenno sul rapporti tra l’Anpi e la politica
L’ANPI non è un partito e non ha quindi né partiti né governi amici e, naturalmente, nemmeno partiti o governi nemici (salvo ovviamente quelli che si rifanno a concezioni e nostalgie di impronta autoritaria).
Tale posizione di equidistanza, continuamente ribadita nel tempo, non ha mai impedito all’ANPI di rivendicare le sue radici nella storia e nella cultura della sinistra italiana ed europea, ottenendo consensi e adesioni anche nelle file del cattolicesimo democratico: in queste radici e in questa equidistanza si colloca da sempre la sua funzione “critica”, legata ai valori della Resistenza e della Costituzione, che si traduce nella possibilità di dissentire e di esprimere liberamente le sue posizioni su quanto viene sostenuto da chiunque a qualunque livello.
Ritengo nondimeno che la critica abbia bisogno di esercitarsi non solo in estensione, ma anche in profondità. Assistiamo da tempo ai sintomi inquietanti di un mutamento epocale delle società ad economia avanzata che si manifesta nelle abitudini, nel costume, nei codici comunicativi di massa, nell’immaginario collettivo. In questi cambiamenti il neofascismo, o meglio i neofascismi, hanno le loro radici remote, che si identificano con uno stile di vita e di relazioni cresciuti sotto il mostro mite e consolatorio del neocapitalismo e delle mitologie della crescita infinita dei consumi e del mercato.
Tavolo di presidenza – XVII Congresso Anpi di Messina
Lo aveva capito Gramsci, quando sull’Ordine nuovo, il 26 aprile del 1921, scriveva:
“Il fascismo si è presentato come l’anti-partito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha dato modo, con la sua promessa di impunità, a una moltitudine incomposta di coprire, con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose, lo straripare selvaggio delle passioni, degli odi, dei desideri. Il fascismo è divenuto così un fatto di costume, si è identificato con la psicologia barbarica e antisociale di alcuni strati del popolo italiano, non modificati ancora da una tradizione nuova, dalla scuola, dalla convivenza in uno Stato bene ordinato e bene amministrato.“
Assai prima di Norberto Bobbio, di Pasolini o di Umberto Eco, Gramsci aveva compreso che il fascismo si manifesta in una subcultura diffusa e dai confini sfuggenti, predisposta fisiologicamente ad essere terreno di semina di pregiudizi, di diffidenza se non di odio nei confronti di ciò che esce fuori dai canoni del conformismo e dell’omologazione passiva della mentalità, del desiderio e della scala di valori dominante. Attardarsi a considerare la politica come una sfera autonoma e separata dal contesto di formazione della cultura e dell’ethos collettivo è perciò un’astrazione, così come lo è adottare un repertorio di categorie interpretative che non corrispondono più da tempo alle dinamiche e alla reale configurazione sociale della crisi in atto e del neocapitalismo di cui è espressione.
Se questo è vero è allora necessario che la politica attenzioni e analizzi criticamente i processi sociali e culturali che la precedono e la alimentano. Si tratta in altri termini di indirizzare lo sguardo al pre-politico, a quell’insieme di condizioni e di condizionamenti della mentalità e del costume, che si insinuano negli atteggiamenti e nelle abitudini più innocue, nella confusione tra realtà e finzione, tra opinione e verità, nella neolingua convenzionale ed asfittica dei media e dell’informazione di massa, nell’assillo di milioni di persone all’inseguimento di uno status sociale la cui unica misura è data dalla capacità di consumare: una visione valoriale che purtroppo non solo ha omologato le aspirazioni e i comportamenti del ceto medio, ma ha eroso e dissolto la coscienza di classe del mondo operaio e contadino; una tendenza cumulativa di alterazioni che si riconosce in uno stile di vita concentrato sul presente, e comporta ovunque la falsificazione della vita sociale. La corsa planetaria al consumo, allo spreco e al degrado, in cui gli italiani raggiungono primati poco invidiabili, è un segno della modifica della nostra curva mentale, che fornisce ai vari fascismi il tessuto connettivo delle loro metamorfosi e reincarnazioni.
Vincenzo Calò della Segreteria Nazionale Anpi
La scuola come luogo e pratica dei valori della democrazia
La costruzione di una rinnovata cultura dei diritti e della democrazia, che faccia da argine alle culture dell’odio, della competizione e della paura del diverso, è a questo punto per l’ANPI una priorità assoluta. In questa prospettiva la scuola ha un ruolo centrale che, a mio avviso, avrebbe meritato all’interno del Documento congressuale, maggiore attenzione.
Della scuola i Padri costituenti avevano avuto una visione che era insieme culturale, pedagogica e politica. La scuola rivestiva per loro il ruolo di Seminarium Reipubblicae, luogo privilegiato di formazione della coscienza civile e motore del riformismo politico di cui vive una democrazia vitale e aperta al futuro. Ai nostri giorni la sua centralità strategica per il futuro del Paese e per la stessa sopravvivenza della democrazia è ormai ignorata e stravolta dalla finalizzazione a obiettivi meramente economici e di efficienza performativa. Il blocco politico-sociale avviato nel Paese dal 1994 col primo governo Berlusconi si è tradotto per la Scuola e l’Università in una valanga riformistica che va dalla riforma Moratti del 2003 al pacchetto Tremonti-Gelmini-Brunetta, per culminare nel colpo di grazia della “buona scuola” di Matteo Renzi del 2015. Nell’impianto riformistico, condiviso purtroppo in modo bipartisan dal centro-destra e dal centro sinistra, sostenuto da Confindustria e malauguratamente supportato dalla metà degli anni ‘90 da alcuni interventi dell’UE (la cosiddetta strategia di Lisbona), l’obiettivo legittimo di rapportare le finalità e le modalità del sistema formativo anche alle prospettive del sistema produttivo e del mercato del lavoro ha finito per soffocare le istanze, fortemente presenti in Italia nel dibattito degli anni ’70 e ’80, di un’istruzione articolata, flessibile, fluida e diversificata, capace di mediare la preparazione tecnico-scientifica con la consapevolezza della destinazione umana di ogni prodotto dell’intelligenza, della sensibilità e delle tecniche. L’esito finale è un modello di scuola pubblica definito dall’alto, appesantito da una valanga di adempimenti burocratici fini a se stessi, destinato a rimanere invariato per lunghi intervalli di tempo, e ancorato a percorsi precocemente specialistici, secondo una ripartizione, assolutamente discutibile e anacronistica, nei tre rami umanistico, scientifico e tecnico (quelli fissati dalla riforma Gentile del 1923). Non mi attardo oltre sulle conseguenze che il pacchetto delle riforme ha avuto sulla formazione superiore e universitaria, sulla perdita di prestigio professionale e sociale dei docenti, trasformati come è stato detto, da protagonisti, in “commessi” del negozio della formazione, simmetricamente alla parallela trasformazione degli alunni in “clienti”; ruoli, ambedue, del tutto corrispondenti al modello efficientistico, gerarchizzato e competitivo della nuova scuola-azienda. Mi limiterò a sottoporre alla vostra attenzione il dato statistico sull’analfabetismo funzionale, un problema che riguarda la grande maggioranza degli italiani: più di sette italiani su dieci – contro una media Ocse del 49% – sono analfabeti funzionali o hanno capacità cognitive e di elaborazione minime, come mostrano in dettaglio le autorevoli indagini Isfol-Piaac sulle competenze degli adulti (16-65enni) dell’anno in corso. Un problema della scuola? Sicuro, ma anche un grave problema della democrazia: mi chiedo infatti quale può essere infatti la sua sorte quando la maggioranza dei cittadini è incapace di decodificare discorsi e informazioni che si attestino su livelli di complessità anche di poco superiori alla lista della spesa. A chi giova l’ignoranza, l’approssimazione, la semplificazione estrema dei contenuti se non alla neodestra e alle pratiche demagogiche dei populismi di ogni colore?
Giacomo Gugliandolo – Esecutivo sezione “Aldo Natoli”
Colgo perciò l’occasione per proporre una grande campagna di sensibilizzazione sulla scuola che abbia il suo esito in un Convegno nazionale promosso dall’ANPI e dalle compagini sindacali, partitiche e associative che con l’ANPI condividono la convinzione della centralità della formazione scolastica e universitaria per le sorti future del nostro Paese. Un convegno che riempia il vuoto sostanziale di confronto e di proposte alternative che ha accompagnato il ventennale processo delle riforme. Infine una grande occasione di recupero del ruolo dell’istruzione pubblica fuori dalle logiche strumentali del privato e dalla sistematica distorsione dei bisogni delle nuove generazioni in funzione del mercato e della finanza.
I cambiamenti climatici, una priorità assoluta
Il secondo aspetto che mi pare sottovalutato nel Documento è il mutamento climatico, premessa assoluta e condizionante di ogni ulteriore progettualità. Il testo in verità la cita inizialmente come uno dei tre fattori di portata globale, ma più avanti la riporta soltanto come oggetto di “una delle attenzioni” dell’ANPI (p. 41). Inutile ricordare che il precipitare delle condizioni del pianeta non concede molto all’ottimismo e pochissimo al tempo necessario per frenare gli effetti catastrofici dei cambiamenti climatici. Di contro a questa relativa sottovalutazione, la sensibilità ai mutamenti climatici degli italiani, è cresciuta notevolmente negli ultimi due anni, anche nella considerazione del costo economico del passaggio alla crescita verde.
Posti di fronte al trade-off tra tutela dell’ambiente e crescita economica, il 48% degli italiani privilegia la lotta al cambiamento climatico rispetto alla crescita economica, un risultato riportato da una estesa e recentissima indagine dell’Università di Siena pubblicata il settembre scorso. Anche sotto questo profilo la posizione della politica italiana appare arretrata, e spesso ondivaga e sfuggente rispetto all’orientamento dell’opinione pubblica. Per inciso: l’Italia è tra i Paesi dell’Ue con il maggior numero di violazioni delle norme europee in materia, e per questo ha dovuto pagare circa 500 milioni di euro per violazioni accertate sino al 2018. Un motivo in più perché l’ANPI si faccia carico di un tema che trova sponda nelle preoccupazioni di ben l’89% degli italiani, una percentuale che supera quella della pandemia (posizionata all’84%).
Giuseppe Restifo – Vice-Presidente Anpi Provinciale di Messina
Guardando più vicino al Meridione, e nello specifico alla nostra Isola, la questione ambientale ha precise connotazioni locali: Il fatto che nel nostro territorio stenti a decollare adeguatamente la raccolta differenziata, che non si sia mai portato a soluzione definitiva lo smaltimento dei rifiuti, storico settore in mano alla criminalità mafiosa, che non esistano incentivi e facilitazioni anche fiscali per la riduzione dei consumi e la riutilizzazione dei materiali riciclabili, non è solo un segno inquietante della minore sensibilità ambientale, ma anche una precisa responsabilità politica dei governi regionali e delle amministrazioni locali, che ipoteca un futuro già incerto per la crisi economica, le disfunzioni strutturali dell’economia isolana, la dispersione delle risorse finanziarie e, non ultimo, la citata presenza della mafia nel tessuto sociale e produttivo della Regione.
A questo proposito esprimo la netta sensazione che il problema della mafia e delle sue infiltrazioni nell’economia e nelle istituzioni sia stato di fatto accantonato come un semplice problema di ordine pubblico e di cronache giudiziarie. Eppure sono passati solo tre anni dalla pubblicazione del Rapporto dell’Antimafia regionale sul “sistema Montante”, con riferimento ad Antonio Calogero Montante, al secolo Antonello, fiore all’occhiello di Confindustria e paladino della legalità. Di fatto il creatore ingegnoso di un sistema di governo parallelo che ha avocato a sé gli aspetti più importanti della governance della Regione e che, nella distrazione o nella compiacenza di tanti, si è sostituito al governo regionale assumendo determinazioni di indirizzo politico, definendo organigrammi, promuovendo o stroncando carriere interne all’amministrazione, fino a spingersi a nominare o a rimuovere assessori. Ciò malgrado, a poca distanza di anni, l’indifferenza o l’interesse hanno già seppellito i fatti nei recessi dell’oblio. Come sempre accade dalle nostre parti, l’amnesia più o meno sincera si trasforma in una amnistia più o meno interessata, ma sempre micidiale per la rinascita della legalità e direi della “normalità” nell’Isola.
A fronte di ciò l’ANPI, sull’esempio di chi, tornato in Sicilia al termine della guerra di Liberazione, trasformò l’esperienza della lotta antifascista nella Resistenza contro la prepotenza, l’arretratezza e la violenza della mafia e dei suoi complici più o meno occulti, non può trascurare il sostegno dovuto a qualunque iniziativa che si opponga al peso e ai condizionamenti della criminalità organizzata sulla libertà e sulla dignità dei siciliani. Ancora una volta la battaglia è fatta di vigilanza e di denuncia, ma anche di lotta quotidiana contro la tendenza di molti siciliani a rimuovere e a dimenticare e contro ogni manifestazione di illegalità e di mentalità mafiosa nella scuola, negli ambienti di lavoro e nelle istituzioni.
Peppe Barone – Esecutivo provinciale Anpi Messina
Per finire, un tema che mi pare decisamente trascurato dal Documento è quello della laicità dello Stato e delle sue istituzioni, corollario implicito del pluralismo ideologico, etico e religioso garantito dalla Costituzione. Nei fatti, lo sappiamo bene, tutte le grandi questioni di civiltà giuridica della storia repubblicana sono state segnate dalla presenza di uno schieramento trasversale ( il vero “partito di Dio”, per usare il titolo del libro di Marco Damilano) che si è fatto costantemente carico della risoluta opposizione della Chiesa ufficiale all’introduzione di leggi che potessero ledere l’impronta confessionale dello Stato Italiano sancita dal Concordato del 1929. Niente di questo ha a che fare con i fondamenti etici e giuridici della Repubblica: Come ha scritto Eugenio Scalfari, la democrazia è relativistica, non assolutistica, non ha fedi o valori assoluti da difendere, a accezione di quelli sui quali essa stessa si basa: il rispetto dell’uguale dignità di tutti gli esseri umani e il rispetto dei diritti civili e politici che ne conseguono. “Democrazia e difesa di verità assolute, democrazia e dogmi, sono incompatibili”. La laicità dello Stato è perciò un valore costituzionalmente garantito: non si basa sulla presenza o meno di maggioranze aderenti a questo o quel credo religioso: rispetta tutte le fedi, ma non ne fa propria nessuna. La libertà, infatti, non si può confondere con la verità, e soprattutto non può essere senza tempo e senza luogo. Su questo auspico che l’ANPI spenda il suo prestigio e la sua autorevolezza.
Il ruolo, i compiti e l’impegno dell’ANPI
La prima responsabilità dell’Associazione, conforme alla sua ispirazione originaria e alla sua tradizione, è e rimane quello della Memoria: memoria della Resistenza, ovvero di fatti, di situazioni, di uomini e donne a cui il Paese deve la sua Libertà e la sua Rinascita dopo l’umiliazione della dittatura fascista e i disastri di una guerra terribile, inutile e ingiusta. B. Brecht scrisse che è “sciagurata la terra che ha bisogno d’eroi”. Si potrebbe chiosare la frase dicendo che le donne e gli uomini della Resistenza non si considerarono mai tali e lo furono, loro malgrado, per necessità interiore, fatta di rispetto di se stessi, di dignità e di amore per la Patria. La memoria della Resistenza non ha quindi bisogno né di enfasi né di mitizzazioni, perché la verità storica non ha nulla a che fare con la mitologia: è questa verità che dà consistenza alla comprensione dei fatti e che non consente quella retorica che, ricordiamolo, pur facendo parte del costume italico, è stata soprattutto fascista. Andando nelle scuole, abbiamo sperimentato la forza persuasiva della narrazione e della documentazione visiva e grafica: avvicinare attraverso documenti e testimonianze i protagonisti della Resistenza, scoprire il loro profilo umano, comprendere il peso psicologico di scelte difficili e spesso fatali, è molto più efficace sul piano razionale, emotivo e psicologico di quanto non sia qualunque enfasi. Tuttavia nell’esercizio della Memoria, anche nel momento in cui ne parliamo con ragazzi e ragazzi nelle scuole, non bisogna dimenticare che accanto alla guerra armata contro il nazifascismo ci fu una Resistenza iniziata molto prima dell’8 settembre del ’43 e continuata dopo la Liberazione, ovvero negli anni difficili del regime circondato dal consenso della stragrande maggioranza degli italiani e negli anni del dopoguerra, quellidella ricostruzione di un paese in rovina che cercava faticosamente di avviare una nuova stagione di libertà, di serenità e di benessere.
Antonio Nunzio Isgrò – Presidente sezione “Eliana Giorli” di Milazzo –
Membro esecutivo provinciale Anpi Messina
La Resistenza non fu soltanto lotta armata: vi fu una Resistenza prima della guerra le cui armi furono cultura, idee, valori, convinzioni, di persone provenienti da matrici ideologiche differenti, declinati diversamente dalle varie sigle dei movimenti e dei partiti antifascisti, ma fondamentali per mantenere viva la speranza del ripristino delle istituzioni rappresentative; e, dopo il crollo del fascismo, ci fu anche una Resistenza fatta di partecipazione, di volontà politica, di lotte sindacali e di conquiste civili che accompagnò l’immensa opera della ricostruzione civile, sociale e politica del Paese. Accanto ai caduti, ai mutilati, ai deportati della lotta armata, ci furono i Matteotti, i Turati, i Gobetti, gli Amendola, gli Sturzo, i Rosselli, i Gramsci gli Spinelli e tutti i perseguitati, incarcerati e confinati dal regime. E accanto a loro, durante e dopo la guerra, i Li Causi, i La torre, i Colajanni, i Trapani, le Anselmi, le Jotti. E si potrebbe continuare a lungo. Le loro vite e le loro scelte, insieme a quelle dei partigiani, dei patrioti, dei militari internati, delle donne dei GDD, costituiscono il fondamento della Nuova Italia e della Costituzione repubblicana.
Tornando alla nostra Isola, seguendo i percorsi di una memoria mancata o negata, l’ANPI siciliana da tempo ha concentrato i suoi sforzi nella ricerca testimoniale e documentaria della partecipazione dei Siciliani alla guerra di Liberazione. Un risultato significativo che trova eco nel Documento nazionale, laddove si ribadisce che la Resistenza fu un fenomeno Nazionale, cui ha partecipato attivamente il Mezzogiorno”. La ricerca è avviata, ma certo non conclusa: il lavoro meritorio di storici e cultori della storia locale, i contatti frequenti tra sezioni Anpi della Sicilia e delle altre regioni, il contributo di studiosi, i nuovi strumenti messi in campo dall’ANPI nazionale per la raccolta della documentazione relativa ai protagonisti, uomini e donne, della guerra di liberazione, hanno aggiunto in questi anni centinaia di nuove storie e nuovi nomi all’elenco dei partigiani e dei patrioti della nostra Isola, caduti, giustiziati o deportati dai nazifascisti. Non si tratta di accrescere le cifre e di allungare gli elenchi, ma di ritrovare nella storia travagliata di questa terra la presenza di chi si è sottratto all’opportunismo, al fatalismo e all’indifferenza che troppo spesso sono stati i caratteri identificativi della Sicilia e del Meridione.
L’ANPI a Messina
Tindaro Bellinvia – Presidente sezione “Lidia Brisca Menapace” di Barcellona –
Membro esecutivo provinciale di Messina
Per concludere, qualche cenno all’Anpi messinese che ho avuto il compito e l’onore di guidare in questi ultimi due anni c.ca. Confesso che all’inizio quel compito mi appariva arduo per una serie di fattori: l’estraneità al contesto, le difficoltà interne che ero chiamato ad appianare, la necessità di lavorare per lo più a distanza e naturalmente il concomitante scoppio della pandemia, che soprattutto nella prima fase ha moltiplicato complicazioni e disagi. Se le oggettive difficoltà che mi si prospettavano nel febbraio del 2020 sono state in grande misura e rapidamente superate il merito va tutto all’accoglienza aperta e incoraggiante dei compagni messinesi e alla loro disponibilità a impegnarsi per dare nuovo impulso alla presenza dell’ANPI a Messina e nella sua provincia. Dietro alle difficoltà e a qualche contrasto si è subito delineata una realtà ricca di competenze, di esperienze culturali e sociali, di vivo interesse per le sorti della città e del territorio, in una parola di coscienza politica. Non mi riferisco soltanto al consistente e attivo nucleo della sezione del Capoluogo o a molti dei compagni del Comitato provinciale, ma alla percezione di una sensibilità diffusa tra molti cittadini, provenienti a diverso titolo da esperienze dei partiti della sinistra e da posizioni decisamente democratiche e antifasciste, che hanno visto e vedono nell’Associazione Partigiani un chiaro punto di riferimento nel vuoto lasciato dalla politica troppo spesso ondivaga e contraddittoria dei suoi rappresentanti nazionali e locali. Si tratta di fatto una richiesta implicita e incoraggiante di rappresentanza di valori etici, di principi sociali e di non ambigue collocazioni politiche a lungo disattesi, e che si esprime attraverso una voglia diffusa di presenza e di partecipazione.
Assecondando questa percezione, malgrado gli ostacoli posti da due anni di pandemia, l’Anpi messinese è cresciuta: i suoi iscritti sono aumentati da meno di un centinaio, concentrati nel 2021 nella sezione cittadina, ai 320 del 2021. Sono nate le nuove sezioni: la sez. “Eliana Giorli” di Milazzo, la sez. “Lidia Manapace” di Barcellona P_G, e più di recente quella Capo d’Orlando-Nebrodi , intitolata Ignazio Di Lena, e la sezione “Giovanni Raccuja” del Comune omonimo. A tutti gli iscritti e ai dirigenti recentemente eletti rivolgo il mio caloroso saluto e le mie congratulazioni. Nessuno me ne vorrà se riservo un indirizzo particolare alle tre presidentesse delle sezioni di Messina, Capo d’Orlando e Raccuja, Patrizia Caminiti, Oriana Civile e Adelina Bertilone: confermata la prima, elette le altre senza ricorso a discutibili criteri di quote rosa o similari, a testimonianza del clima e della maturità di rapporti esistenti tra i tesserati dell’ANPI.
Piero Patti – Segretario FLC CGIL di Messina
Nel corso di questi due anni, siamo intervenuti in molte scuole in stretta e cordiale collaborazione con presidi e docenti, abbiamo preso posizione pubblicamente su temi e criticità della politica locale a fianco di altri soggetti della società civile anche su comportamenti di amministratori le cui eccentriche e discutibili performance minano a nostro avviso l’agibilità democratica dell’Amministrazione del capoluogo. Al piano della vigilanza democratica antiautoritaria e antirazzista, si è affiancata la proposta culturale nell’alveo del recupero della memoria e della rivalutazione di una storia spesso dimenticata o esplicitamente travisata, per citarne alcuni: dai moti di Palermo del 1960 all’Ann. della fondazione del PCI, dal 150° della Comune di Parigi, 70°anniversario della nascita della Repubblica. Tralascio le attività parallele, il varo del sito ufficiale, la tenuta dei rapporti con le altre Anpi siciliane, e via di seguito.
Mi avvio a chiudere, ma prima vorrei esprimere la gratitudine mia personale e dell’ANPI provinciale ai parenti dei partigiani la cui presenza in questo Congresso e in questa sala testimonia la continuità ideale tra la Resistenza di ieri e quella di oggi. La loro vicinanza ci emoziona e ravviva il senso di gratitudine nei confronti di chi, intellettuale o operaio, soldato o contadino, sacerdote o insegnante, ebbe la capacità di immaginare, in circostanze drammatiche, un’Italia libera e un nuovo modo di pensare e di vivere i diritti, la giustizia, il lavoro, il rapporto tra cittadini e istituzioni. A distanza di tanti decenni la loro passione e il loro coraggio costituiscono ancora un criterio di lettura del presente, un’ammonizione a non perdere la consapevolezza del prezzo altissimo pagato per garantire a chi sarebbe venuto un sistema di garanzie attorno ai valori della libertà, del lavoro, della dignità della persona e, non ultimo, della dedizione al bene comune.
Sappiamo che nessuna di queste cose è data una volta e per tutte. E che nessuna di esse può essere realizzata se prima non si impara a conoscerla e ad amarla. Prima fra tutte la Libertà, che è sempre un difficile intreccio di dignità, intelligenza, coraggio e volontà: un esercizio faticoso che non ti consente mai la certezza di un approdo, e ogni mattina ti ripropone la sua incompiutezza, le sue alternative e i suoi rischi. La Libertà non è infatti un oggetto che si acquista e si possiede, un sistema codificato e immutabile di rapporti; è piuttosto un modo di concepire la vita associata, uno strumento di progressivo cambiamento per la crescita di equità, partecipazione, legalità. In questo senso la libertà ha un nesso inscindibile con la prassi di una società democratica dove i diritti dei cittadini trovano spazio e realizzazione nelle istituzioni, nella scuola, nelle aggregazioni della società civile.
Rosario Duca – Presidente Arcigay di Messina – Revisore dei conti Anpi provinciale di Messina
In secondo luogo la libertà di un popolo è inscindibile dalla sua unità, che non consiste nella grottesca invenzione di una comune origine etnica o nella rivendicazione di una identità culturale concepita erroneamente in termini di conformità al costume dominante L’Unità non è un dato. E’ un risultato. Non sta nell’uniformità dei caratteri, dei linguaggi, delle abitudini o delle tradizioni e meno che meno in un legame di interessi economici. Bensì nella CONDIVISIONE, ossia nel riconoscimento di un interesse superiore e comune della Società e dello Stato.
La Libertà infine trova fondamento e impulso nella Pace. La guerra, qualunque guerra, anche quelle combattute con le armi dell’odio e del disprezzo verso altri esseri umani, prima ancora di essere la manifestazione più sistematica e irrazionale dell’istinto distruttivo dell’uomo, è la tomba dei diritti e della speranza. Essa tronca ogni possibilità del futuro, distrugge l’esistenza delle persone, alimenta e diffonde la paura verso i nostri simili
Ecco allora le ragioni per cui siamo qui oggi: non per le formalità, pur importanti, della stagione precongressuale, ma per riaffermare pubblicamente il valore di una difesa ad oltranza delle conquiste morali, politiche e sociali scaturite dalla guerra di liberazione e fissate con esemplare incisività nella Costituzione della Repubblica. E insieme per ricordare che la Resistenza continua, perché la libertà continua ad essere una conquista quotidiana, e l’uguaglianza, il lavoro, la solidarietà, l’accoglienza – lo sappiamo – vanno costruite e ricostruite ogni giorno, anche in mezzo a delusioni e difficoltà, come fu nella determinazione e nella speranza delle donne e degli uomini di quello straordinario 25 aprile del 1945.
Grazie di tutto e buon lavoro per gli anni che verranno.