Il documento è stato approvato nel congresso della sezione “Aldo Natoli” del 7 Novembre 2021 e poi proposto e approvato nel Congresso provinciale Anpi “Mimmo Trapani” del 4/12/2021

Il documento si articola in cinque punti ed è stato scritto a più mani trattando argomenti di interesse locale, nazionale ed europeo. A metter mano all’impresa, cinque attivisti della sezione Anpi di Messina: Federico Martino, Giuseppe Martino, Beniamino Ginatempo, Giuseppe Restifo e Daniele Ialacqua.
- Crisi del capitalismo e crisi della Costituzione
Negli anni Quaranta del ‘900, in Italia, la catastrofe, seguita all’affermazione di fascismo e nazismo e alle vicende belliche, ha prodotto la guerra partigiana, vera “guerra di popolo”, combattuta per l’affermazione di una società realmente rinnovata e la creazione di istituzioni realmente “democratiche”. Nel crogiuolo dell’Assemblea Costituente, non si ebbe la giustapposizione, ma una fusione delle culture politiche, vecchie e nuove, presenti nel Paese.

Fu un’impresa, a cui tutti contribuirono con gli elementi peculiari delle proprie ideologie. Per la prima volta al mondo, la Carta che fondava il Patto Sociale non tentò di negare la realtà della società divisa in classi, ma prese atto dell’esistente incontro-scontro tra di esse. Naturalmente, l’operazione non poteva essere tecnica, ma doveva volgersi verso un solidissimo orizzonte politico. Questo venne dato dalla tutela e dalla valorizzazione della dignità dell’individuo come persona. Su tale terreno, avvenne la convergenza tra quanti si ispiravano al marxismo, al liberalismo, al cattolicesimo democratico e, insieme, nella lotta partigiana avevano sperimentato concretamente le possibilità di incontro.
Da qui discesero la centralità del lavoro, la subordinazione della proprietà privata agli interessi della società, il “primato” del pubblico sull’interesse individuale e particolare.
Corollario ineliminabile furono istituzioni parlamentari rappresentative, realmente democratiche, con alcuni elementi di democrazia diretta.
Non fu un “progetto” precostituito ad essere offerto, ma l’indicazione di un percorso, che non esclude alcuno, salvo quanti rifiutano di riconoscere il valore fondante della dignità della persona umana e del lavoro.
A partire dagli anni Novanta, la Costituzione è stata sottoposta ad attacchi e soggetta a procedimenti di “revisione” assai pesanti.
In prospettiva “neoliberista”, l’impianto concettuale, attorno al quale nasce e si sviluppa la Costituzione, perde senso ed essa diventa mero “oggetto di culto”, che può essere celebrato, ma non applicato. Ciò è risultato particolarmente pericoloso nel momento in cui la realtà ha posto sotto gli occhi di tutti la “terza guerra mondiale a pezzi”, l’impressionante concentrazione della metà della intera ricchezza del pianeta nelle mani di una ristrettissima oligarchia, la insostenibilità ambientale di una produzione “anarchica” indirizzata alla massimizzazione del profitto, solo parzialmente basata su beni “reali” e che può vivere “inventando” beni e servizi e bisogni fittizi. L’esperienza mostra la rinascente necessità del capitalismo di affrontare le crisi concentrando il potere decisionale, riducendo gli spazi democratici, negando persino la possibilità del conflitto.
Il Parlamento ha perso il suo ruolo: il ricorso abnorme ai voti di fiducia, la decretazione d’urgenza, i DPCM, hanno trasferito, di fatto, il potere normativo prima ai governi, poi ai presidenti del Consiglio.
Lo svuotamento delle istituzioni democratiche, causato da precisi interessi economici, finisce col giustificare la “crisi della politica” che esso stesso ha prodotto.
Ė quasi certo che fascismo e nazismo non torneranno nelle storiche vesti, ma sarebbe un errore imperdonabile non capire che il virus dal quale sono nati è ancora presente e indossa abiti nuovi.
Oggi, la lotta al fascismo e la difesa della Costituzione nata dalla Resistenza devono essere sviluppate: la conservazione e l’approfondimento della memoria di quegli eventi hanno senso compiuto se forniscono strumenti critici per la comprensione del presente.
Solo rammentando che fascismo, nazismo, dittatura e discriminazione non furono “incidenti di percorso” da cui la “democrazia” si è emendata, ma le conseguenze di “contraddizioni reali” ancora presenti, potremo evitare che, in forme nuove, ma altrettanto drammatiche, possano tornare. La rinunzia alla democrazia in nome dell’efficienza, della semplificazione e della sicurezza è il primo passo lungo un percorso che conduce al baratro. Se la Costituzione può essere salvata, può esserlo solo con una lotta, difficile e forse drammatica, che rivitalizzi il patto sociale voluto dai Costituenti e ne imponga l’integrale attuazione. Bisogna essere consapevoli che le forze a ciò ostili sono la versione aggiornata di quelle contro cui si batterono i partigiani e dal loro esempio trarre il coraggio e la determinazione per un’impresa il cui esito non è scontato.
- Democrazia e neoliberismo

Tracciando un parallelismo tra scelta di mercato e urna elettorale, i neoliberisti hanno sostituito il cittadino con il consumatore. Un modello che ha colonizzato anche il linguaggio. Tutti i sostenitori dell’ideologia neoliberista hanno rappresentato la scelta del libero consumatore come una caratteristica fondamentale dell’economia di mercato, e il consumatore sovrano come colui che è capace di determinare la produzione e dirigere l’attività politica. I neoliberisti hanno delineato un ideale di consumatore condizionato dall’azzeramento dei diritti sociali e dei fondamenti della democrazia.
Mentre è virtualmente impossibile essere contrari all’idea di una libera scelta per tutti e tutte, nella realtà, la maggior parte delle persone non ha molto da spendere in un’economia dominata da una diseguaglianza dilagante e da grandi business monopolistici.
Per guadagnare un vantaggio morale, i neoliberisti hanno presentato la nozione di democrazia del consumatore come una reale democrazia economica, la quale, in contrasto con gli ideali socialisti, poteva effettivamente assicurare a tutti i membri della società una voce in capitolo a livello di decisioni economiche. E, ovviamente, parlando dei consumatori come dei “padroni della produzione”, hanno attaccato la concezione marxista del capitalismo come sistema guidato da e in funzione dell’arricchimento dei proprietari dei mezzi di produzione.
- Giustizia climatica e ruolo dell’ANPI
L’esempio più recente ed eclatante dello stravolgimento in senso antidemocratico della Costituzione, sia per quanto riguarda il metodo che i contenuti, è il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Il governo Draghi presentò al Parlamento, solo alcune ore prima della scadenza di invio alla Commissione europea, un documento che ha una struttura complessa, sia per l’ammontare economico (248 mld), che per la presenza di parecchie “riforme”, necessarie per velocizzare e completare il piano entro il 2025. Nei fatti, questa tempistica ha esautorato il Parlamento, impedendogli di effettuare una lettura critica, una discussione delle priorità e della ripartizione delle quote sui differenti settori di intervento e, quindi, una discussione sulla visione del futuro del Paese. I rappresentanti del “popolo sovrano” non hanno potuto mettere il becco su quanto Draghi e alcuni ministri tecnici e loro consulenti hanno stabilito. La Costituzione è stata vilipesa ed il ruolo del Parlamento irriso e calpestato.

Le criticità più rilevanti e i nodi politici più intricati stanno, però, nei contenuti.
Il cuore del PNRR e i suoi principi fondanti stanno nella transizione ecologica. Ma ad essa è destinato solo il 27% del finanziamento totale.
La transizione ecologica può avere una connotazione democratica e progressista, o reazionaria e oscurantista, a seconda dei settori privilegiati di investimento. Può indirizzare il Paese verso l’attuazione della Costituzione, l’equità sociale e l’abolizione dei privilegi, la sobrietà di produzione e consumi, la responsabilità civile e la realizzazione di una piena cittadinanza. Oppure verso il contrario. Ecco un dei motivi per cui nel futuro l’ANPI deve trasformare le questioni ecologiche ed ambientali in un faro della sua lotta politica: non ci può essere democrazia senza accesso equo, solidale, responsabile alle risorse naturali.
Il sistema economico capitalista ha una struttura lineare. Per funzionare, ha bisogno di riserve infinite di materie prime e di energia, di uno spazio infinito per lo stoccaggio di rifiuti ed emissioni e della possibilità di ripianare tutti i debiti. Al contrario, i processi naturali hanno una struttura circolare. Ne consegue che l’attuale sistema economico è, alla lunga, insostenibile. L’Europa spinge verso la cosiddetta economia circolare non per una accresciuta sensibilità ecologica, ma perché deve importare il 60% delle materie prime necessarie al suo sistema industriale.
Il controllo dei flussi di risorse, di debito e di rifiuti del sistema economico è la reale sorgente del potere. Dobbiamo, dunque, compiere un’operazione culturale, che consiste nel superare la “cultura dello scarto” (Papa Bergoglio) e nel trasformare radicalmente l’attuale modello sociale, basato sul consumo del superfluo per aumentare/mantenere il profitto.
Il fine di questa lotta è l’odierna versione della Resistenza: la giustizia climatica.
Unificare l’antifascismo con l’ambientalismo e la tutela dei Beni Comuni è l’affermazione dei valori costituzionali: pertanto è la nostra missione.
L’ANPI non può chiamarsi fuori da questa lotta per il futuro, se la sua ragione di esistere è spingere per l’affermazione dei principi costituzionali, per perseguire i valori di uguaglianza e di giustizia sociale, per i quali i nostri padri e madri partigiani hanno dato la vita. Oggi, non è in pericolo solo il futuro dell’Italia, ma il futuro dell’Europa e di tutta la specie umana. L’ANPI deve essere protagonista all’interno del fronte delle alleanze antifasciste, antirazziste ed ecologiste in Europa, e deve promuovere azioni comuni con movimenti ed associazioni antifasciste e ambientaliste europee.
- Il neo-liberista sindaco di Messina
Se si guardano le politiche materiali dell’amministrazione comunale, balza evidente come – malgrado le dichiarazioni – esse tendano a favorire i poteri forti cittadini.
D’altronde la condizione materiale dello stesso sindaco, detentore di un reddito altissimo, non può che portarlo alla “solidarietà di classe”. Per chi sta in questa collocazione sociale, è utile allontanare l’attenzione dei Messinesi dai veri problemi della città, e questa operazione il sindaco l’ha compiuta benissimo, mettendo in campo mirabolanti sortite mediatiche che hanno travalicato il buon gusto e rasentato il degrado istituzionale.

Le apparenze ingannano, ma il sindaco in diverse cose non è dissimile da Draghi: la principale è il disprezzo verso le assemblee elettive, Parlamento o Consiglio comunale che siano. Purtroppo, con rare eccezioni, il secondo in tre anni ha dato prova scadente di difesa della sua funzione rappresentativa dei cittadini. L’ANPI locale dovrebbe aprire un confronto su questo versante, che richiami alla correttezza istituzionale e costituzionale un’Assemblea eletta direttamente e non per successivi ballottaggi. E che richiami pure alla drammaticità dello “spopolamento” non solo democratico, ma anche materiale della città (ventimila abitanti in vent’anni, per lo più giovani).
Il versante culturale, al di là di quello materiale, è il punto di forza dell’ANPI di Messina. Lo dimostrano le iniziative svolte dalla sua nascita a oggi, e non solo con le scuole.
Ma occorre fare di più. Riprendendo quello che è stato elaborato in un quarto di secolo dal movimento messinese no-ponte, si devono sviluppare le idee sui diritti all’ambiente.
L’inquinamento è “fascista”: produce guadagni per una parte della popolazione e danni per la parte sociale più debole. Anche sullo Stretto giustizia ambientale e giustizia sociale debbono camminare a braccetto.
- Una “nuova resistenza” contro il redivivo progetto del Ponte sullo Stretto
Il progetto del Ponte sullo Stretto è tornato alla ribalta grazie al dibattito intorno alla transizione ecologica e ai fondi del PNRR. Incredibilmente il Ponte sullo Stretto viene annoverato tra le opere “ecologiche” di cui avrebbe bisogno il Sud per il suo rilancio.

Dopo il grande movimento No Ponte nato su entrambe le rive dello Stretto, che aveva dimostrato con dossier, convegni, cortei, l’insostenibilità del progetto, devastante dal punto di vista ambientale, sociale, economico, è necessaria oggi una “nuova resistenza” di popolo che faccia tramontare definitivamente il progetto del ponte e che sia foriera di una nuova alba per il popolo dello Stretto e l’intero Meridione.
*A cura dei compagni Federico Martino (1.), Pippo Martino (2.), Beniamino Ginatempo (3.), Peppino Restifo (4., redattore finale), Daniele Ialacqua (5.)