di Franca Sinagra Brisca

Presentazione
La scoperta di nuovi documenti inediti procura sempre in chi fa ricerca una certa esaltazione, dovuta all’impressione d’essere stato fortunato oltre l’annoso impegno dedicato, tanto da sembrarle d’esservisi imbattuta per puro caso.
Maggiore si presenta l’importanza del ritrovamento di queste due lettere inedite perché il contenuto della fonte scritta rischiara con una specie di doppio lume l’ininterrotto rapporto di solidarietà fra i due antifascisti siciliani di indubitabile valore storico, lo stesso Prof. Concetto Marchesi e l’On. Avv. Francesco Lo Sardo.
Delle due lettere manoscritte, trovate presso parenti diretti di Donna Teresa Fazio Lo Sardo, viene pubblicata la trascrizione puntuale, seguita da brevi cenni che di primo acchito conducono a riferimenti in ambito biografico e a qualche interpretazione che intendono aprire il caso storico-politico ancora non indagato a sufficienza.
L’augurio è che il contenuto delle lettere offra agli storici autorevoli la possibilità di ripercorrere la storia del socialismo e del fascismo messinesi racchiusa nel sodalizio fra questi due egregi comunisti siciliani delle origini.
“ R. Università di Padova
Seminario di Filologia Classica Pisa 9 Giugno 1931
Mia cara signora.
Mi giunge in questo momento la straziante notizia della morte del nostro Ciccio.
Io ho perduto il più caro dei fratelli ed ho nell’animo una ferita che non si chiuderà più. E’ inutile cercare parole e motivi di conforto. Giacché, se egli ha finito di soffrire, le sue sofferenze continuano a vivere in noi.
Mi abbia sempre presente e mi consideri sempre vicino nel Suo lutto senza sollievo.
Suo
Concetto Marchesi”
L’On. Francesco Lo Sardo è morto il 30 maggio 1931 nel carcere di Poggioreale, a Napoli, in assoluta solitudine e in condizioni sanitarie estreme, il suo feretro è giunto il 5 giugno al porto di Messina in ora antelucana e il funerale verso il Gran Camposanto è subito avvenuto lungo vie secondarie e con divieto di ogni partecipazione di pubblico oltre agli stretti familiari.
La notizia è giunta con qualche ritardo il 9 giugno anche all’amico Concetto Marchesi, che immediatamente comunica alla vedova la sua partecipazione affettuosa e solidale. Nella breve lettera indirizzata a Teresa Fazio si possono interpretare, pur nello stile scandito di Marchesi, i segni della sua viva emozione esplicitata con “straziante notizia – il più caro dei fratelli – le sue sofferenze continuano a vivere in noi – lutto senza sollievo”. L’espressività essenziale e incisiva non teneva conto della rituale cortesia a sostegno della vedova, nonostante l’autore abbia avuto contezza della sua fragilità, dovuta alla lunga malattia di nervi mal sopportata per l’insistere di eventi tragici nella vita di lei, anzi egli nella lettera di condoglianze riflette senza filtri retorici il proprio stato di vera angoscia nei confronti dell’amico perduto, che evoca a sé con “nostro Ciccio, il più caro dei fratelli”, esplicitando la situazione propria “senza sollievo, una ferita dell’animo” nel presentarsi come portavoce e compartecipe delle di lui sofferenze le quali, per estensione dopo l’insostenibile carcerazione “continuano a vivere in noi”.
Questa così intenso sentire richiama alla memoria la descrizione che Italo Calvino fa della personalità di Marchesi, ricordandolo dopo il suo funerale, “Era sempre stato il più pessimista e solitario di tutti i comunisti” 1), personalità che aveva certo introiettato funeste esperienze compresa l’ingiusta fine dell’amico Ciccio.
Le ragioni di tanto affetto e di ferita indelebile si trovano puntualmente nella vasta biografia pubblicata di recente da Luciano Canfora 2), che analizza il percorso personale e politico di Marchesi e, documentando l’amicizia e la solidarietà fra i due, esplicita come Francesco/Ciccio Lo Sardo, ritornato dall’esperienza della guerra più combattivo e filo-bolscevico di prima, sia stato il leader carismatico per Concetto, più giovane di una manciata d’anni.
Marchesi aveva insegnato al liceo Maurolico di Messina fino al 1905, in quell’arco di tempo culturalmente fiorente per la città che si pregiava delle presenze di Manara Valgimigli, Pascoli, Salvemini e del poeta Boner, carissimo amico travolto nel terremoto del 1908. Ma in quel periodo Lo Sardo risiedeva a Napoli con brevi puntate di presenza nel messinese, pertanto la consuetudine intellettuale e militante fra i due si sarà fatta più stretta dal 1916, quando Marchesi era già ritornato a Messina docente universitario perché vincitore della cattedra di Lingua e Letteratura latina, mentre Lo Sardo era reduce di guerra perché ferito gravemente al polmone.
Da allora per otto anni fino all’avvento del fascismo vissero insieme in città il percorso politico, insieme furono presenti a Livorno nel 1921 dove scelsero linee politiche radicali, tanto che a febbraio venne verbalizzata dalla questura una riunione segreta a casa di Lo Sardo, segnalati ambedue già da tempo come “sovversivi” da quella questura.
Nonostante la militanza di Marchesi si fosse fatta quasi invisibile dopo la marcia su Roma e dopo il trasferimento a Padova nel 1923 (pubblicava con pseudonimo), e le frequentazioni fra i due si fossero diradate con l’avanzare del periodo ostile caratterizzato da persecuzioni e rischi anche mortali per gli antifascisti, i numerosi riferimenti di Lo Sardo all’amico, presenti nel corposo tomo Epistolario dal carcere (1926-1931) 3) confermano il radicamento e la solidità del loro rapporto. A quasi un anno dal sequestro di Francesco con carcerazione a Roma, già con una semplice cartolina nell’agosto del ’27 Concetto fa sentire indirettamente, tramite rapporti editoriali la sua vicinanza a Ciccio, il quale commenta “Il suo ricordo caro mi ha fatto vivo piacere” e la fa seguire da una lettera “Concetto mi ha scritto una lunga affettuosissima lettera e mi ha fatto mandare da Principato due ultime sue pubblicazioni, che mi sono arrivate ieri” 4). Ad ottobre gli fa arrivare altre sue pubblicazioni tramite Principato. Così Lo Sardo può scrivere alla moglie Teresa “Passando da Principato ringrazialo per la sollecitudine con la quale mi ha spedito i libri di C. M.. Li ho ricevuti tutti e tre” (Roma 4/10/27) 5). Sempre il riferimento all’amico professore è connotato da affettuosità immediata.
Oggi l’accesso a quel poco rimasto della biblioteca privata di Lo Sardo, che ha reso palese l’affinità intellettuale fra i due, mostra anche nella presenza di alcuni preziosi tomi dell’editore veneziano Antonelli datati fra il 1839 e il 1844, contenenti le opere di Omero, Lirici Greci, Ovidio, Teatro latino, la formazione intellettuale dell’avvocato nella classicità. C’era comunità d’intenti nella cultura dei comunisti, infatti Gramsci si era espresso a favore del latino e degli studi classici perché rappresentavano una cultura “concreta, di una concretezza ideale e non meccanica”, mentre Marchesi confermava l’impossibile divorzio fra cultura e politica.
Su Lo Sardo condannato definitivamente a otto anni dal Tribunale Speciale nel 1928, la censura carceraria infierisce, perciò da Sassari al fratello Giovannino “Desidero conoscere ciò che gli amici M. e L. hanno fatto e scritto. Senza fare i nomi, li chiamerei 1° e 2° […] Se C. M. vi ha chiarito come ha spedito la lettera che il direttore mi ha consegnata nei primi giorni della mia permanenza in questa e che mi ha detto essergli arrivata in un plico dell’Università, mi piacerebbe conoscerlo”6).
Da Turi di Bari a novembre del ’29 scrive “Ho avuto un biglietto affettuoso in data del 20 da Concetto. Esso ha accluso una lettera, perché era aperto e per indirizzo portava solo il mio nome e cognome. Mi si è detto che era in una busta contenente documenti dell’Università di Padova per questa Direzione. Egli mi scrive che avrebbe scritto anche a te. Rispondendogli comunicagli che ho ricevuto il suo affettuoso biglietto e che lo ringrazio del premuroso affetto. Se fosse possibile gli scriverei direttamente ma non posso scrivere a tutti”7). Lo Sardo dal carcere di cura sanitaria di Oneglia si trova già in pericolo di vita per vizio cardiaco, e siccome non gli è consentito scrivere più di un regolamentare foglietto da lettera, saranno la moglie Teresina e il fratello ad espletare la corrispondenza, anche verso Concetto “Apprendo che da Giovanni che avete scritto a Concetto”8) come fa sapere alla moglie Teresina dal carcere di Turi, a dicembre, e insisterà ancora sul fatto che “Concetto mi scriveva che ti avrebbe scritto direttamente e che tanto egli quanto la moglie e la figliuola ti ricordano sempre con grande affetto e simpatia. Ciò fa bene a me e credo farà gran piacere anche a te. Se hai occasione di scrivere fai sapere che ho ricevuto le lettere, che li ringrazio e che non rispondo direttamente perché non lo posso. Fagli sapere che i libri si possono ricevere e che desidero le sue pubblicazioni oltre quelle su Seneca che avevo e quelle su Tacito e la Letteratura che mi ha fatto avere quando ero a Roma. Che se poi credesse mandarmi qualche altro libro che può ritenere a me utile gliene sarei doppiamente grato. I buoni libri sono la migliore e più utile compagnia!9).
La dichiarazione politica di Lo Sardo sul proprio operato, che è rintracciata in una lettera dal carcere alla moglie: “Il coraggio e la fede, in questi tempi, sono la virtù di pochi. Amo essere fra questi pochi”, è stata tramandata sulla bocca della gente dei Nebrodi, divenuta anonimamente proverbiale e ancora oggi recitata insieme al famoso slogan elettorale “Tu non fili, non tessi e non ‘ncanni. D’unni ti vinni ‘stu gliommiro granni?” (Tu non tessi, non fili e non fai matasse. Da dove ti è pervenuto questo grande gomitolo?).
La corrispondenza epistolare fra i due sembra essersi interrotta per un anno e mezzo, sia per motivi di coprifuoco politico, sia perché Ciccio trascorrerà il 1930 nel martirio della malattia, vicino di cella di Gramsci a Turi dove, non riuscendo più né a scrivere né a leggere, si fa aiutare da uno scrivanello. Presentendo la fine, invierà un certo numero di cartoline agli amici più cari fra cui a Concetto, poco prima dell’inutile crudele trasferimento nel carcere di Poggioreale.
“R. Università di Padova
Seminario di filologia Classica Padova 23 giugno 1931
Cara Signora.
Le mando subito una iscrizione per il nostro dilettissimo Ciccio. Ho pensato che la migliore cosa è ricorrere alla lingua latina, la lingua solenne delle iscrizioni funerarie e quella che si presta meno al sospetto. Eccola.
Vitae suae non fidei oblitus
Obliviscendus nulli
Cioè: “Dimenticò la sua vita, ma non la sua fede
Non lo dimentichi nessuno”
Sono sempre a sua disposizione, mia Signora: e serbo sempre nell’animo il lutto del mio fraterno amico.
Con i più affettuosi saluti vogliono esserle ricordate Ada e Lidia le quali sono state dolorosamente percosse dalla tristissima notizia.
Mi abbia sempre suo
Concetto Marchesi”
L’evidente ansia di Marchesi nel vergare l’epigrafe per l’amico, già bollato come galeotto comunista e quindi a rischio di offesa anche nella tomba, sta nella preoccupazione che quei due minimi versi di contenuto condensato possano prestarsi “meno” al “sospetto”, inoltre egli sembra confidare sull’ostinazione antiumanistica della marmaglia fascista debole negli studi classici, che per lui sono invece scuola ideale di raffinatezza conoscitiva di cui una vera formazione politica non può fare a meno.
Nel 1931 la situazione in ambito universitario era molto rischiosa per Marchesi, che viveva presentando di sé una immagine accettabile per resistere all’estromissione dall’ambito dell’alta cultura, e un’altra di dignità intellettuale e di coerenza politica gestita all’ombra dei suoi scritti, pur sempre col rischio del coinvolgimento in correo se non della possibilità di agguato concreto alla persona, e svelata nella potenza della sua indignazione nell’appello agli studenti padovani, per congedo mentre sapeva già di entrare in clandestinità. Insospettabili furono i percorsi editoriali per depistaggi con cui riusciva a rendersi comunque presente all’amico avvocato, incarcerato dalle leggi fascistissime che avevano sovvertito il diritto.
Si ricorda che quando il ministro Gentile soppresse nel 1924 la facoltà di Lettere nell’Università di Messina, condividendo la filosofia del manganello dopo il delitto Matteotti, già era iniziata la diaspora dei professori, così nel giugno del 1923 Marchesi si era affrettato a conseguire una seconda laurea in giurisprudenza, sia per l’autodifesa che per l’opportunità di diversificare l’attività lavorativa in libera professione. Anche l’amico umanista Manara Valgimigli si stava trasferendo all’Università di Pisa. In vista delle vicine elezioni politiche che nel 1924 lo designeranno primo deputato comunista siciliano al Parlamento Regio, Lo Sardo avviò una intensa campagna di contrasto per salvare il maggior faro culturale della sua città, che già l’aveva visto adolescente anarchico, studente socialista ribelle e confinato, e che l’aveva laureato nel 1894 in giurisprudenza con tesi sulla appropriazione indebita.
La preziosa epigrafe stilata da Marchesi sorprende per la sintesi organizzata nell’uso di obliviscor, dove il gerundivo passivante ha valore imperativo, per cui la dimenticanza è vietata nei riguardi di colui che in sacrificio si è dimenticato della sua vita. Si può pensare a una voluta doppiezza criptica del significato, utile a non prestarsi al sospetto e alla probabilità di profanazione, rendendo l’iscrizione minimale e incontestabile pur salvandone intatto l’insito valore poetico e celebrativo.
Per Marchesi dolente per l’ingiustizia subita dal fraterno amico su cui il fascismo aveva infierito perfino nel momento della morte, la notizia ferale ha l’effetto della scudisciata, dello scuotimento e, mentre fa sentire la percossa, dichiara la tensione verso un’impossibile desiderata presenza a condividere la pena del trapasso.
Considerando la sostanziale affinità di pensiero fra i due, è anche possibile interpretare che l’epigrafe aderisca ad una immaginazione espressa da Lo Sardo circa il proprio epitaffio nella lettera all’amico Alberto, scritta forse dal carcere di Sassari nel ’28, in cui smentendo le dicerie diffuse sulla sua già avvenuta morte, Lo Sardo così ironizza “E buon per me se la mia vita mi porterà di meritare un sasso che porti scritto: non mutò bandiera! Grazie per i tuoi rallegramenti per la mia condotta politica […] ma di questi tempi, in cui la coerenza è delitto si può accettare anche la congratulazione dei parenti per aver saputo fare il proprio dovere non piegando né pensolando” 10.)
Al momento dell’arresto notturno l’8 novembre del 1926 a Messina, l’on. Lo Sardo ebbe la chiara previsione di andare incontro alla propria fine (come terzo dei deputati già assassinati On. Di Vagno a Bari e On. Matteotti a Roma). Due giorni dopo, il 10, nel carcere giudiziario di Messina rende le volontà testamentarie al notaio Chiofalo, che saranno rese pubbliche ai parenti post mortem con rogato del 17 luglio e registrazione del 1 agosto 1931. In una parte di esse viene confermato l’ideale socialista, dove si legge che raccomanda alla moglie Teresa Fazio di destinare a sua volta il proprio cespite testamentario “a persona o istituzione che meglio potrà farlo valere per il raggiungimento delle finalità che sono state la fiamma e la fede costante della mia vita e che lei ben conosce.”11.) Da quel giorno l’onorevole proditoriamente destituito lavorerà intensamente e in condizioni precarie alla propria autodifesa avanti il Tribunale Speciale, che sarà la più completa dimostrazione giudiziaria di innocenza e di invettiva antifascista insieme a una cronistoria della propria formazione ideale.
Affinità di padri culturali fra i due amici ci è dimostrata anche nella relazione a difesa, dove la citazione del poeta rivoluzionario e docente catanese Mario Rapisardi, ci ricorda che Marchesi ne era stato convinto seguace e ammiratore, da cui forse deriva la nominazione della vocazione politica come “la fiamma e la fede”.
Nella riconferma degli ideali comuni e nell’assoluto rimpianto per l’amico perduto, ritroviamo gli accenti lapidari ma accorati dell’epigrafe di Marchesi anche nel discorso riportato su “Il Nuovo Riscatto”, glorioso giornale caro a Lo Sardo, rinato più volte a Messina e risorto nel 1954 in occasione dell’inaugurazione della nuova sede, accuratamente analizzato da Luciano Canfora. Qui Marchesi rievoca gli eventi politici comuni a lui e a Lo Sardo in un excursus biografico per grandi linee, denso di folgorante commozione perché, celebrando solennemente, addolora:
“Ricordo gli anni lontani di Messina, Francesco Lo Sardo dalle trincee della prima guerra mondiale tornava con tutta la foga generosa all’antica battaglia, a quella che si combatte ancora in ogni angolo della terra dove l’iniquità indossa l’abito della giustizia e il delitto assume il nome di civiltà. Ho dinanzi agli occhi il suo volto illuminato e sorridente e ascolto ancora quella sua voce che dissipava i timori e gli indugi. Seguivo molte volte quell’uomo che non conobbe mai stanchezza nell’ora della lotta, e all’animo suo di combattente consegnò tutto il suo corpo anche nelle crude sofferenze del male. Ci separammo: vennero i giorni della caccia all’uomo: i giorni dell’agguato, dell’assassinio, del silenzio. Francesco Lo Sardo non tacque; lo seppero in una nebbiosa alba invernale i popolani di Livorno, quando già si spegnevano quasi tutte le voci degli uomini liberi, lo seppero le sbarre del Tribunale Speciale che lo condannava alla galera. Dal reclusorio di Turi mi giunse, ultima, una sua cartolina” 12.)
Della ampia familiarità fra i due testimoniano i cordiali riferimenti alla moglie, alla figlia e al bambino di Marchesi che si trovano nelle lettere di Lo Sardo e nella chiusa di questa di Marchesi alla vedova.
E’ qui testimoniata la storia di una reciproca profonda e incorrotta intesa, se si compara questa epigrafe di Marchesi per Lo Sardo a quella latina stilata da Pietro Bembo per la tomba di Raffaello, e se si riconosce nell’epitaffio la volontà comune di additare ai posteri l’unicità delle doti e della pregevole esistenza di quegli amici, di Lo Sardo come politico straordinario militante lungo l’arco degli eventi storici dall’Unità all’opprimente barbarie del fascismo che volle espellerne dal corpo la vita e l’esistenza storica che la memoria collettiva ancora fatica a recuperare.
L’araba fenice di Francesco Lo Sardo sarà presente nel 1944 alla prima assemblea del Partito comunista messinese, con la partecipazione della moglie settantenne Teresa Fazio. Marchesi inaugurerà il suo giornale “il Riscatto” nel ’54. A Messina oggi si pubblica ancora on line su “il Nuovo Soldo”. L’epigrafe marchesina ad oggi è incisa sulla tomba di Lo Sardo a Messina ed è riprodotta su lapide all’entrata della Sala-Museo a lui dedicata a Naso, il paese natio.
Note
- Italo Calvino. Lettera a Elena Croce 14/2/195
- Luciano Canfora. Il sovversivo. Concetto Marchesi e il comunismo italiano. Laterza Ed. GLF, 2019
- Francesco Lo Sardo. Epistolario dal carcere. A c. di Sebastiano Saglimbeni. Ed. del Paniere, Verona 1988)
- Ivi, pag. 564
- Ivi, pag. 97
- Ivi, pag. 614
- Ivi, pag.404
- Ivi, pag. 413
- Ivi, pag. 408
- Ivi, pag. 240
- Manoscritto non ancora pubblicato
- Luciano Canfora. op. cit. pp.75-78.
Postilla
Ricognizione delle pagine contenenti i riferimenti a Concetto Marchesi nelle “Lettere dal carcere” in op. cit.:
Pp. 70 – 97 – 105 – 357/8 – 404 – 408 – 413 – 420 – 452 – 564 – 614 – 240.