Firmato in Sicilia nel 1952 dalla partigiana Simona Mafai e dalle raccoglitrici di nocciole di San Piero Patti
di Franca Sinagra Brisca
Sono trascorsi appena tre anni dalla scomparsa di Simona e la sua presenza fra noi insiste ricorrendo in discorsi e scritture. E’ pubblicato da qualche mese “Simona Mafai, una vita per la politica” a cura di G. Fiume e P. Fallucca, dove vari autori raccontano la propria esperienza di vita e di lavoro con Simona. Un coro di voci diverse eppure concordi, fra cui quella di Giuseppe Oddo e di Loredana Rosa, tessono storicamente il procedere e l’evolversi della sua presenza politica in Sicilia. Un lavoro non ideologico trascorso fra la militanza cristallina nel PC e una motivazione originaria a costante fondamento della tematica femminile e femminista.
Simona, approdata da poco a Messina sposa del siciliano Pancrazio De Pasquale, nel 1952 viene trasferita dal partito a San Piero Patti sui Nebrodi, dove il lavoro sindacale si sarebbe rivolto appunto al bracciantato totalmente femminile.
Per far fronte alla specificità della situazione il segretario responsabile della Federbraccianti provinciale, l’orlandino Peppino Bontempo, chiese al partito una dirigente donna. La presenza di Simona a San Piero Patti suscitò un grande entusiasmo fra le lavoratrici, si creò una mobilitazione bracciantile mai vista prima, mentre il quindicenne Giovanni La Torre, futuro artista orlandino, le faceva da guida e scorta in giro per le contrade.
Scrive G. Oddo che nel 1949 Di Vittorio lavorava per l’innalzamento del salario bracciantile al livello del manovale comune, ma non all’equiparazione delle paghe femminili a quelle maschili. Contratti capestro avevano anche le sgusciatrici di mandorle e quelle di olive, che erano considerate stagionali e ben lontane dall’ottenere il 70% previsto dal contratto nazionale, anzi erano remunerate in agricoltura dal 30 al 50% in meno degli uomini lavorando dalle 10 alle 12 ore al giorno.
Dice Oddo: “Le raccoglitrici di nocciole a San Piero Patti erano in condizioni ancora peggiori. Nel ’52 erano sorte la Camera del lavoro e la FGCI, ospitate in un solo vano e senza servizi adibito a sede del Partito comunista. Al momento della raccolta a organizzare il lavoro erano gli uomini (i padroni di piccole e medie aziende e i campieri per le grandi aziende) e il grosso della manodopera era costituito da donne (non c’erano macchine raccoglitrici come per le mandorle a rompere i gusci)”. A tutt’oggi la raccolta avviene da terra lavorando “da sole a sole” / dall’alba al tramonto, ma allora si dormiva nei pagliai senza servizio igienico e si mangiava pane e olive. Il lavoro iniziava in fila dai piedi della collina verso l’alto e i campieri controllori seguivano da dietro valutando da sotto le gonne la scelta della compagnia notturna, col ricatto del licenziamento: stalking arcaico!
Alla contrattazione con i datori di lavoro le parti firmarono il primo contratto collettivo delle raccoglitrici con risultati importanti sulla retribuzione e sull’orario di lavoro, ma per quei tempi il capolavoro politico fu della Mafai con l’introduzione della clausola di licenziamento del campiere che si fosse reso responsabile di molestie e ricattatorie pretese sessuali!
Un risultato largamente vincente fu raggiunto anche nella mobilitazione delle gelsominaie a Milazzo, là Simona era affiancata dalla partigiana Eliana Giorli La Rosa, quando donne (e bambine) ebbero finalmente attrezzature, stivali, orari più umani, livellamenti salariali e tutele.
Racconta Loredana Rosa come Simona organizzò la politica anche a Santa Caterina Villarmosa, dove le ricamatrici ottennero il primato italiano nell’affrancamento dal lavoro a cottimo e a nero non solo per contratto, ma addirittura per legge!
Nel profilo davvero onorevole della sua storia, troviamo Simona Mafai a sedici anni staffetta partigiana con la sorella Miriam a Roma e nel ’46 a discutere del futuro italiano fra le Madri Costituenti. Poi fu nelle fabbriche del Veneto, della Lombardia e della Liguria, fino alla scuola di partito alle Frattocchie. Furono per lei nell’immediato dopoguerra anni densi di vita politica liberata nel mondo del lavoro nella parte d’Italia che più aveva vissuto la Liberazione partigiana combattente.
Per raccogliere i frutti delle politiche vincenti e sostenere le donne siciliane, in un contesto nuovo in cui si era ambientata presto, organizzò la costituzione di Commissioni femminili e della Consulta regionale, costruì l’organizzazione femminile del partito a Messina, e forte della sua qualità di dirigente autonoma nell’analisi e nella pratica politica, in Sicilia Simona Mafai ottenne l’elezione al Senato.
La conobbi nel 1992, quando venne a Capo d’Orlando (che lei frequentava ormai da anni per vacanza) accorsa a solidarizzare con un gruppo di donne del movimento antiracket che allora aveva rappresentato per l’Italia la sconfitta del metodo dell’omertà mafiosa con la costituzione di commercianti denuncianti dell’associazione ACIO, perché l’unione fa la forza, come era successo nei processi in tribunale delle associazioni femminili contro le violenze già anni prima, e ancora oggi con “Me too”.
Simona veniva dall’antimafia delle donne a Palermo, dalle Donne del digiuno e dal Movimento delle lenzuola, era instancabile nella ricerca politica in città e nella regione, fino a fondare un collettivo, anche con Letizia Battaglia, e a dirigere la nota rivista “Mezzocielo”, con cui le donne hanno rivendicato in tutti questi anni le analisi e gli obiettivi della loro vitale presenza a Palermo e non solo. Ne nacque la affiliazione di un gruppo orlandino all’“Associazione donne siciliane contro la mafia” di cui si ricorda ancora l’incisiva attività decennale. La sua capacità di rapportarsi con libertà di pensiero e autentica solidarietà è stata per me un’affascinante memorabile esperienza. In una lettera mi scrisse: «Abbiamo parlato di Gramsci e di Lo Sardo verso cui ho una reverenza indicibile (era di Naso, lo sai?). Ho scritto un ricordo di lui, pubblicato su ‘Centonove’ l’anno scorso e mi ha molto commosso. Mi pareva di cogliere negli occhi dei vecchi compagni quel flusso straordinario di speranze di futuro che ha riempito la loro e la mia vita, e insieme la desolazione e la tristezza per le delusioni subite, per le certezze che non possono esserci più». Francesco Lo Sardo, il suo eroe prediletto dell’antifascismo, fondatore delle prime lotte studentesche all’università, del sindacato e del partito a Messina e provincia fra la fine del 1800 e gli inizi del ‘900. Attende ancora oggi che la città celebri il suo migliore esempio di politico e di antifascista. Continuando l’analisi storica sull’isola, nel 2007 Simona pubblica il libro sulle sue Riflessioni sulla storia della Sicilia dal dopoguerra ad oggi.
Il suo esempio mi fa credere fermamente che la conoscenza dei fatti storici e del pensiero storico, che in passato si sono opposti ai progetti di dominio assoluto in politica, possano opporsi anche oggi e in futuro. E abbiamo il dovere di crederlo. A Simona Mafai, (5 luglio 1928 – 16 giugno 1919), sentinella di democrazia, dedico una poesia tratta La giostra stravolta di Franca Bellucci, perché la riconosco fra
I rifondatori
“[…] Nella mente li vedo, con tremore confuso,
diverso uno ad uno
nella storia di vita
questi rifondatori del convivere
uomini e donne,
ma ugualmente vivi nello sguardo
perché orizzonti assaporano intensi
di una vita che è grande oltre la loro,
una via che ha senso
che prescinde da fine, contributo
aperto a contributi.
Al silenzio sono pronti.[…]”.