PER LE POESIE PRIME ED ULTIME

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DI  ANGELO MARIA RIPELLINO

di Sebastiano Saglimbeni

Angelo Maria Ripellino

“E la morte, tutto sommato, è  in Autunnale barocco, l’unica presenza vera assoluta: è finalmente l’immancabile ultimo atto di una certezza che sfugge alla regola dell’illusorio e della caducità”. Lo scriveva  Giovanni Occhipinti, per Angelo Maria Ripellino, nel saggio P(r)ofeti dell’Isolamondo (1981). Il poeta e grande slavista  Angelo Maria Ripellino nacque  a Palermo nel 1923 e si spense a Roma nel 1978, a circa un anno di distanza dalla pubblicazione della silloge  poetica Autunnale barocco, edita da Guanda. L’autore già poteva pienamente fregiarsi di una pura fama: egli docente di Lingua e Letteratura Russa  presso l’Università di Roma, traduttore, per  la prima volta in Italia, delle  poesie di Boris Pasternàk, autore dei saggi su Puškin, su Blok, su Ròzanov, su Schulz, su Kolàr, su Cechov e autore delle sillogi poetiche Non un giorno ma adesso (1960), La fortezza d’Alvernia (1967), Notizie dal Diluvio (1969), Sinfonietta (1972) e Lo splendido violino verde (1976).

Ѐ trascorso  oltre un quarantennio dalla scomparsa di quest’uomo completo che contava solo  55 anni di vita. Non pare che la sua immagine sia stata del tutto appannata dal cianuro dell’oblio se ricordiamo che dal 1979 sino al 2004 sono stati divulgati interventi di attenti e rigorosi studiosi della varia produzione dello scrittore.  Nel 2007 il suo nome è stato letto su “Tuttolibri”, l’inserto settimanale del quotidiano torinese La Stampa, per la circostanza   dell’edizione di tutte le sue poesie dal titolo Poesie  prime ed ultime, che ha pubblicato  l’editore Nino Aragno   a cura di Federico Lenzi e Antonio Pane, con presentazione di Claudio Vela e introduzione di Alessandro Fo. Una nobile impresa dovuta, che ha onorato e rinfrescato la memoria del poeta, più che dello slavista. Così tutti i suoi versi probabilmente non subiranno la sorte, come egli, con tono beffardo e pessimistico,  scriveva in un testo di Autunnale barocco che qui di seguito, riduttivo, ricordiamo:

(…)                                                     

                   Ma per chi cantano? Chi mai li ascolta?

                     Merda.  Sarebbe meglio scrivere

                     novelle per pollivendoli,  romanzi zuccherini,

                     storielle piovose, canzoni da balera.

                     Ma è tardi ormai. Scriverai ancora versi,

                 questa feccia di vino che nessuno vuole bere.

Un titolo consistente ed elegante, di 526 pagine, che  potrà  motivare ancora altre riprese di studi su Ripellino, “un poeta fuori dall’ordinario che a distanza di anni fa sentire la sua voce molto più forte che non negli anni in cui (tra i Sessanta e i Settanta) poté  lanciare la sua scommessa con l’oblio”, osservava ponderatamente  Giovanni Tesio, l’ autore del  testo ch’era apparso su “Tuttolibri”.

Nell’incipit della sua nota, di due chiarissime pagine, Claudio Vela ha scritto che “Angelo Maria Ripellino pervicacemente ha voluto essere considerato un poeta: ma le sei raccolte da lui pubblicate nell’arco di poco più di un quindicennio, da Non un giorno ma adesso del 1960 alla finale Autunnale barocco del 1977, non sono valse a garantirgli in vita considerazione di poeta. Con sconcerto ed amarezza di chi aveva concepito ed amava la  ‘letteratura come itinerario nel meraviglioso’, proprio la tappa più ambita  del suo stesso viaggio nella letteratura, la poesia, non gli veniva riconosciuta: e quel che era peggio, non per  palese opposizione, per disaccordo di poetiche, per passionale intensità di dialettiche, ma semplicemente per  indifferenza, trascuratezza, immediato oblio”.  Vela restava nella convinzione che “non molto meglio sono andate le cose dopo la sua morte”  e che “Ripellino è rimasto l’eccezionale slavista, il fantasmagorico saggista di Praga magica…..”.  Non proprio cosi, se pensiamo  che tanti poeti di spicco e lettori comuni considerano Ripellino poeta di valore, di un valore coincidente con le sue scritture diverse.

Antonio Pane ha scritto  circa 18 pagine, ricche di notizie,  ad iniziare da quelle della famiglia di Ripellino. Curiose ed interessanti le notizie sul padre Carmelo, studente iscritto alla Facoltà di Lettere, ma in ritardo con la laurea,  che aveva sposato Vincenza Maria Trizzino, una vedova più anziana di lui, che aveva avuto quattro figli maschi con il matrimonio precedente, uno di questi figli sarà autore di libri riguardanti la storia militare contemporanea, fra cui il best-seller Navi e poltrone. Il padre, che poi diverrà insegnante in più istituti sino  a coprire la carica di titolare di greco latino  al liceo “Giulio Cesare” di Roma, è stato autore di versi e di altro. Ma sorprendono in queste pagine le nuove notizie su Ripellino studente esemplare, dal profitto talmente consistente che venne esonerato dalle tasse scolastiche. I suoi studi accaniti, non solo per conseguire la laurea in lettere, ma per la conoscenza della lingua russa, polacca, olandese, rumena. Un enfant prodige, insomma. Angelo Maria incominciò sin dal 1940 a pubblicare versi, come il padre, un valoroso e severo docente  in quel liceo romano. Notizie che Pane attinge da testimonianze vive. Ad esempio, l’ispanista  Francesco Testori testimonia di Angelo Maria “ l’avidità, l’impazienza con cui assaliva il sapere, e insieme una fretta singolare, una vera furia che lo spingeva a recludersi nella sua cella di lavoro, il cui ritmo si andò facendo sempre più febbrile, per non dire frenetico”. E sappiamo dell’insegnamento di Ripellino in alcune scuole, sino a quello definitivo di Lingua e Letteratura Russa presso l’Università di Roma.  Diversi i suoi viaggi, non si contano i rapporti con gli uomini più straordinari della letteratura italiana e dell’arte di avanguardia. Tra i suoi amici, il famoso artista, dall’astrazione espressiva, Achille Perilli, discepolo del padre, e Luciano Cattania, che produssero il  primo libro di versi di Ripellino Non un giorno ma adesso (Grafica, Roma, 1960). E di qui tutta una  ricca e straordinaria produzione di testi poetici, critici sulla cultura orientale, come Storia della poesia ceca contemporanea, una fatica dedicata alla sua compagna straniera Ela e agli amici del gruppo 42.   Dalla nota di Pane pure rileggiamo della   predilezione che Ripellino nutrì nei confronti dell’arte teatrale. E degli interventi brevi e limpidi sull’ “Espresso” e sul “Corriere della  Sera”.

Assai intensa, dunque, la sua storia di uomo, di autore e di educatore, ma la sua vita, ancora giovane, si concluse con la complicazione dell’“ennesimo dei suoi mali, la retinopatia diabetica che lo condusse sulle soglie della cecità” ma che ebbe“ ancora l’estro di interrogare in russo, in tedesco, in francese, in polacco i medici disorientati”.  Ripellino, ricordato come  Kafka e il nostro Gozzano.

Ritornando alle sue poesie, oltre a quelle già divulgate prima della sua morte, sopraccennate, nel titolo dell’editore Nino Aragno i “Versi inediti e rari”, un corpus consistente, preceduto, a mo’ di epigrafe, da un frammento che recita: “Amica canzone, / malinconico veliero, / quando il sogno di vetro si frange, / lampada sei tu che conforta / la nostra anima assorta”. Questo frammento, dice la nota a piè di pagina, risale “ai tempi dell’Università (tra il 1941 e il ’45) conservato unicamente nella memoria di Elena Clementelli, collega e amica di quegli anni”.

Di tutta la produzione poetica, che certamente non potrà pienamente rifare il lettore  di oggi,  una ventina di testi, dal vario metro libero, che non esclude l’endecasillabo, restano una grande rivelazione antologica nuova,  contenente questo nostro clima  storico avvelenato  e in rovina. Ma da questa rovina che è planetaria e da quella propria fisica del poeta nacque una Poesia. Accostabile ad altra di valore, tuttora accolta, del nostro Novecento.

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