Ricerche storiche
I cattolici nel ventennio fascista a Messina
Il Partito Popolare Italiano fu costituito nel febbraio del 1919 ed il 29 dello stesso mese appare sulla “Scintilla”, organo della curia messinese, la notizia della sua nascita; <<con la coscienza di compiere il più alto dei nostri doveri come cittadini italiani e cattolici militanti, diamo la nostra piena adesione al nuovo partito popolare; ciò che oggi è un fatto compiuto, è stata per molti anni la nostra aspirazione più viva>>. Sul periodico “L’attività cattolica di Messina e provincia” edito dalla Nuova Società Operaia di Mutuo Soccorso S. Giuseppe viene pubblicato il programma del P.P.I. nella redazione, tra gli altri, c’era Attilio Salvatore, una delle figure più prestigiose del popolarismo messinese. Il nucleo promotore proveniente dalla vecchia Unione Elettorale Cattolica si muove sula spinta dell’imminenza delle consultazioni elettorali; infatti, il 12 febbraio 1919 si costituisce la sezione comunale del P.P.I per Messina e provincia. La riunione si tiene nello studio dell’avvocato Fortino, ad essa partecipano le rappresentanze dei Circoli Cattolici, Confraternite, consiglieri comunali e provinciali e rappresentanti della “Scintilla” e de “L’Attività Cattolica”.
Candidato per le elezioni viene designato l’avvocato Fortino che viene anche scelto come rappresentante al primo congresso nazionale di Bologna. Il partito si diffonde in provincia attraverso l’aiuto dei parroci e delle associazioni cattoliche rinate quest’ultime nel ’19 sotto la presidenza di Adolfo Romano. Nell’opera di costruzione del partito si distinguono Don Camillo Sibilla e Francesco Fucile che cura specialmente l’organizzazione del partito. Il Partito Popolare Italiano cerca consensi nel mondo operaio e contadino con la Società Operaia S. Giuseppe; l’azione di propaganda svolta dai popolari conseguì notevoli risultati sul piano organizzativo con l’apertura di alcune sezioni nella provincia e una consistente rete di casse rurali, associazioni di mutuo soccorso e di cooperative di consumo.
Ma alle elezioni politiche del ’19, nonostante questo sforzo i popolari con soli 6.568 voti conseguirono un insuccesso elettorale. Il 19 aprile del 1919 era cessata la pubblicazione de “L’Attività Cattolica” per far posto a “L’Avvenire del popolo” che diventò l’organo ufficiale dei popolari a Messina: a causa di questo insuccesso “L’Avvenire del popolo” cessò le pubblicazioni fino all’aprile del 1920 per poi riprendere fino al marzo del 1921. Dall’aprile al settembre del 1921 diventa “L’Attività sociale di Messina e provincia” e “L’Azione popolare”.
Dall’aprile 1921 al dicembre 1922. Quest’ultimo non rispettò mai la periodicità settimanale e nell’aprile del ’23 pubblicò un unico ed ultimo numero.
Dopo il secondo congresso nazionale a Napoli c’è una riunione organizzativa del Partito Popolare a cui parteciparono le sezioni di Rometta, Spatafora, Valdina, S. Lucia del Mela, Barcellona, Rodì, Gioiosa Marea, Mazzarà S. Andrea, Ucria, San Teodoro, Graniti e Francavilla. Anche nelle amministrative del 1920 i popolari sono sconfitti nonostante gli sforzi profusi per la diffusione del partito. Il P.P.I. del resto, non è mai riuscito ad attrarre a sé a Messina i gruppi dominanti che erano d’ispirazione liberale e massonica. Alle elezioni politiche del 1921, i popolari incrementarono i loro seggi a livello nazionale, ma a Messina con 5238 voti, hanno un nuovo insuccesso elettorale. I “popolari” sconfitti erano gli stessi che nel 1914 avevano ottenuto numerosi suffragi, che ora venivano a mancare per la diffidenza che il PPI suscitava presso la curia per quegli elementi di innovazione, che, a quel tempo, caratterizzavano questo partito. La crisi del PPI provocò l’uscita dal partito di Ferdinando Stagno D’Alcontres (uomo di fiducia della curia e ricco latifondista) che passa con i fascisti. In un successivo momento anche gli altri “popolari” di primo piano come Pulejo e Martire abbandonano i PPI e passano al campo fascista.
L’insuccesso popolare sul terreno elettorale oltre che evidenziare un’insufficiente aderenza nel tessuto socio-economico di Messina degli esponenti locali, attenti più alle battaglie per gli aspetti istituzionali che ai problemi di carattere economico, è il risultato della avversione provocata dalla politica agraria che negli stessi anni in Sicilia li portava alla testa, con socialisti e combattenti, dei movimenti per le occupazioni delle terre. Ciò che avveniva a Messina, del resto, era in linea con quanto avveniva a livello nazionale, dove con il passaggio del pontificato da Benedetto XV, caratterizzato dalla <<fiducia nella libertà e rispetto delle autonomie conquistate dal laicato cattolico>> (P. Scoppola, Democrazia e coscienza religiosa, Ed. Il Mulino), a Pio XI assistiamo ad una politica di accentramento del laicato cattolico che vedeva da una parte la riorganizzazione dell’Azione Cattolica e dall’altra una presa di distanza dal Partito Popolare. Accentuando le distinzioni tra “politica popolare” e “politica cattolica” la gerarchia pontificia portava avanti la cosiddetta “politica dell’apoliticità”, dove l’apoliticità non consisteva nel non fare politica bensì nel non farla contro i detentori del potere. <<Date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio…>> sono parole di un discorso di Pio XI il 21 ottobre 1923 dove l’ossequio al potere si risolveva in un riconoscimento ed un avallo del potere costituito qualunque esso sia.
Su questa linea, forte del suo carattere conservatore, l’Azione Cattolica espressione dell’ufficialità, domandava al potere civile di essere riconosciuta e tutelata nel libero svolgimento del suo programma. Ma di fronte alle violenze e alle aggressioni fasciste non tutto il mondo cattolico cedette. Nell’aprile del 1923, dopo il discorso di Don Sturzo a Torino, i ministri popolari uscirono dal governo Mussolini. In questo processo di normalizzazione dei rapporti col fascismo le pressioni degli ambienti curiali e del movimento cattolico costrinsero Don Sturzo a rassegnare le dimissioni da segretario politico del PPI. Nel mese di agosto viene assassinato Don Minzoni.
Successivamente, pressioni analoghe impedirono all’indomani del delitto Matteotti l’intesa tra i socialisti e popolari prospettata da De Gasperi. In un discorso agli universitari cattolici il 9 settembre 1924, il Papa stesso intervenne per impedire quest’alleanza in nome del rispetto all’autorità costituita, inteso come valore etico-religioso. Nel 1924 i popolari si spaccarono in due gruppi uno dei quali detto dei clerico fascisti uscì dopo la votazione della legge Acerbo, confluendo nel Centro Nazionale Italiano che appoggiò la lista fascista. Alla luce degli avvenimenti su esposti, ritorniamo alla situazione del PPI a Messina dove, secondo un rapporto prefettizio (riportato da A. Sindoni- Sturzo e la Gioventù Cattolica in Sicilia, in AA. VV.- Sturzo nella storia d’Italia- Roma 1973), i popolari nonostante le avversioni e le difficoltà contavano ancora nel luglio 1925 circa 40 aderenti, i quali di contro ai cedimenti della Curia e della ufficialità cattolica, che si trinceravano dietro appelli ambigui nei quali ci si augurava <<che il governo fascista duri sempre, purchè faccia cessare le violenze>> (La Scintilla 15-1-1925, anno XXI N.1), testimoniavano ancora il loro impegno antifascista di cui è significativa la commemorazione di Don G. Minzoni fatta da Giuseppe Casaramona nella Associazione dei Giovani Cattolici Messinesi e il successivo articolo di Attilio Salvatore su “La Scintilla” (18 luglio 1925). Con l’accentuazione dello stato totalitario e la soppressione dei partiti politici anche queste ultime voci di dissenso vengono messe a tacere.

La politica di stabilizzazione operata dal fascismo trova terreno fertile a Messina, dove ancora una volta un elemento per l’elaborazione del consenso viene fornito dalla Curia Arcivescovile. I finanziamenti per la ricostruzione del Duomo, iniziata nel 1923, rischiano di esaurirsi. <<Fu allora– dichiara l’Arcivescovo Paino in una intervista concessa a un giornalista del quotidiano del PNF, “Il Popolo d’Italia” – che Iddio mi concesse di conoscere e di avvicinare il Duce. Dopo tre minuti di colloqui con Lui, il problema della cattedrale di Messina era pianamente risolto. Dopo un altro brevissimo colloquio furono assicurati i primi vistosi fondi per le chiese parrocchiali. Un terzo ed un quarto colloquio mi disse chiaro che ormai era suonata per Messina l’ora della misericordia di Dio. Questi colloqui furono molti, molti; e non uno rimase senza frutto. Non di raro mi ebbi più di quanto sperassi (e le mie speranze erano davvero esorbitanti) più per sinodi quanto chiedessi.
Giunsi a tale che non sapevo concepire un’udienza del Duce, senza salutare in anticipo un nuovo vantaggio per la mia Diocesi. Devo dire di più (oh!) il gran cuore, il mobilissimo cuore di Mussolini); mi pareva talora che fosse mio dovere imporre un limite alle richieste, visto che Egli non riusciva ad imporre un limite alle sue concessioni.>>
Così i fondi per la ricostruzione del Duomo e per tutta un’altra serie di iniziative della Curia (Seminario, chiese parrocchiali etc.) arrivarono in gran copia. Ma a pagare non era l’amatissimo Duce bensì la popolazione di Messina ed in particolare i ceti popolari che videro aggiungere la Curia alle speculazioni dei grossi proprietari che, approfittando della situazione miserevole dei ceti meno abbienti, avevano fatto incetta dei diritti a mutuo, concessi per favorire la ricostruzione delle abitazioni delle vittime del terremoto. Quanto sopra sostenuto è documentato da una serie di provvedimenti legislativi, il primo dei quali data del 1926 (decreto legge del 10 gennaio): in esso si fissa al 31 dicembre 1926 il termine ultimo per trasferire da un comune all’altro della provincia i diritti a mutuo. Un altro decreto della stessa data dà facoltà all’Arcivescovo di utilizzare i diritti a mutuo anche dopo la scadenza e fino al 30 giugno 1930. Per tre anni e mezzo mons. Paino è l’unico a poter acquistare i diritti a mutuo. La convenzione del 30 marzo 1928 integra e disciplina tutti i provvedimenti, fino ad allora emanati; in essa erano indicate il numero delle parrocchie da costruire, 146, di cui 120 interamente e 26 parzialmente (art.3), le opere assistenziali ed il seminario e stanziava bel 175.000.000 di lire per le opere soggette alla convenzione stessa (art.5). L’insufficienza dei fondi successivamente sopravvenuta fu compensata dal R.D. 20 marzo 1930 che stanziava 57 milioni, che in sede di conversione in legge furono ridotti a 40 milioni.
In questa linea di aperta compromissione col regime, vengono superati e passano in second’ordine le incertezze ed i contrasti sopraggiunti con il tentativo fascista di egemonizzare l’educazione giovanile attraverso la fondazione dell’Opera nazionale balilla nel 1926. Con il favore del regime quindi le organizzazioni cattoliche poste sotto l’egida della Curia riprendono quota assommando complessivamente a 2513 iscritti come risulta da un rapporto prefettizio dell’agosto del 1923 (P. Borzomati- I giovani cattolici nel mezzogiorno- Ed. di Storia e Lett.)
L’11 febbraio del 1929 la firma del concordato sancisce a livelli nazionali questa politica di avvicinamento tra Chiesa e fascismo. I Concordato viene salutato come una vittoria della Chiesa sul Fascismo ma era quest’ultimo in realtà a condizionarla nei fatti. A Messina il fatto viene celebrato con due “Te Deum“, uno tenuto in seminario e l’altro organizzato dalla Giunta Diocesana alla chiesa dell’Immacolata. L’organo della Curia riporta un messaggio del Vescovo nel quale si dispone << che in tutte le chiese parrocchiali a noi soggette, domenica ventura 17 febbraio nell’ora che sembrerà più opportuna con l’intervento del popolo venga cantato l’inno di ringraziamento a Dio che, nella Sua Misericordia, si è degnato accordarci questa grazia segnalatissima.>> (n.7- 15 febbraio 1929). Nello stesso numero Mussolini viene così definito: <<da porre il Duce del fascismo tra i più insigni personaggi del vero Risorgimento italiano…>>. Due mesi dopo il convegno siciliano della Federazione universitaria cattolica tenutosi a Messina, spedisce tra i veri, un telegramma al duce, di cui riportiamo il testo:
<< A S.E. Mussolini- Roma. Convegno Siculo Goliardi Cattolici invia palpito intensissimo Duce Magnifico che con diurno insonne travaglio, riprende vie trionfali Roma Imperiale e Cristiana.>> Le illusioni sulla presunta cattolicizzazione del fascismo vengono però ad essere provvisoriamente incrinate nel 1931, quando il regime manifesta la sua ostilità ed intolleranza verso la sospetta concorrenza delle associazioni cattoliche, che nel maggio del 1931 vengono chiuse, per poi essere riaperte dopo che si arrivò ad un accordo tra regime e Santa Sede secondo il quale i vescovi non avrebbero scelto come dirigenti dell’A. C. “coloro che avevano appartenuto a partiti avversi al regime”. Questi fatti stupirono la redazione della Scintilla ormai fascistizzata, che sosteneva che non vi fosse niente che “provi che lo spirito di questi circoli cattolici sia contrario al fascismo” (n.17- 2 maggio 1931).
Gli anni che vanno dal 1931 fino al 1938 sono quelli che vedono un sostanziale accordo tra Chiesa e regime, in cui tutto sembra provare questa sostanziale identità tra le due parti anche in momenti drammatici come le guerre imperiali e quella di Spagna. A Messina questo connubio viene esaltato nelle pagine della Scintilla in occasione della visita di Mussolini nel 1937: il Vescovo in data 7 agosto pubblica un manifesto di cui riportiamo alcuni stralci. << Quando invece potei parlare con Lui vidi senz’altro che l’ora di Dio per noi era scoccata […] E mai ho trasandato, giorno per giorno, di pregare per Lui, lieto ed orgoglioso di sapere che il Supremo Reggitore della Chiesa, l’immortale Pontefice Pio XI, ogni mattina e ogni sera, come egli stesso si degnava di confidarmi, fervidamente prega per questo Uomo mandato dalla Provvidenza…>> (9 agosto 1937- n.22)
Altri episodi della vita politica vengono così visti dalla Scintilla che più che un giornale ecclesiale sembra un organo del P.N.F.; l’incontro tra Mussolini e Hitler viene visto come “l’incontro tra due formidabili forze che potremmo chiamare naturali qualora l’intervento di grandi geni politici non ne fornisse la spiegazione umana.” (5-10-1337) Il corporativismo invece “corrisponde alle più profonde ragioni sociali del Vangelo” (24-8-1938, i legionari che combattono contro la Repubblica popolare spagnola sono “soldati della fede e della civiltà.” (9-11-1938), le ignobili leggi sulla razza vengono accolte come una “iniziativa che non poteva essere più indovinata, né più opportuna; abbiamo più che mai bisogno d’una razza pura e forte” (10- 12-1938), l’epurazione libraria è “salvezza della stirpe…” perché “in tutto questo luridume letterario …tra queste pagine infami, la stirpe si logora intristisce e muore.” (10-12-1938)
In tutto questo panorama di aperta compromissione e di adesione al fascismo gli unici cattolici che a Messina fino all’ultimo furono irriducibili avversari del fascismo sono i popolari Attilio Salvatore e Giuseppe Romano. Anche se la loro fu una testimonianza di carattere personale, assume un particolare rilievo sia perché mai ebbero a compromettersi sia perché questa scelta fu pagata in termini di minacce e di boicottaggio sul lavoro. Su questo punto le testimonianze raccolte sono unanimi. Nel 1938 nel fascismo cominciavano a prevalere certe istanze anti-clericali che mal sopportavano la relativa autonomia della Chiesa; inoltre i legami col nazismo tedesco si facevano più stretti al punto di assimilarne le dottrine e i metodi. Arriva così in Italia anche la dottrina razziale che suscitò preoccupate riserve e pronunciamenti negativi da parte degli ambienti curiali; ricominciano gli attriti con l’azione cattolica.
Questi fatti destano preoccupazione persino in mons. Paino, fascista della prima ora ed amico intimo di Mussolini e di Michele Bianchi*; in una lettera riservata ad un professore, gli comunica che un incontro della Azione Cattolica non potrà tenersi perché “siamo in un momento, nel quale tutto quello che si fa è interpretato alla rovescia, epoca di diffidenze e di calunnia. Se continua così c’è da temere pensando al domani.” (P. Borzomati- I giovani cattolici nel mezzogiorno- Ed. di Storia e Lett.) Segue un elenco di episodi di fascisti che strappano distintivi dell’azione cattolica, di aderenti alla medesima che vengono boicottati sul piano economico e a cui viene negato il rinnovo della tessera del partito fascista.
Nel 1940 in segno di protesta per alcune prese di posizione della Chiesa, una squadra fascista prende le copie dell’Osservatore Romano dall’edicola Orlando sita nel palazzo arcivescovile, e ne fa un falò a Piazza Cairoli ai piedi dell’obelisco che sorgeva al centro della piazza. Con questa immagine simbolica si chiude a Messina una storia d’amore tra il trono e l’altare, di una Curia fascista che divenuta potere economico, aveva fatto da tramite per la fascistizzazione della borghesia locale, prima liberale e massone, ora clericale e fascista; più o meno la stessa che ritroviamo oggi.
Nunzio Carianni, Andrea Fava e Giuseppe Martino
*Michele Bianchi inizia la sua militanza politica nel Partito Socialista, corrente rivoluzionaria. Le trincee dove si colloca sono il giornalismo ed il sindacalismo. Dalle colonne dell’Avanti e da quelle di “Lotta socialista” e poi dal “Popolo d’Italia”. L’incontro con Mussolini, anche egli socialista rivoluzionario, al Congresso socialista di Reggio Emilia, segna una svolta per Michele Bianchi. Dal 1914 lo troviamo nelle file degli interventisti, poi partecipa il 28 ottobre1922 alla Marcia su Roma con Mussolini e i quadrunviri Bianchi, Balbo, De Bono e De Vecchi. Fu successivamente Ministro dei LL. PP. Il 3 febbraio1930 Michele Bianchi, primo segretario del PNF si spegne a Roma.