Il discorso del presidente dell’Anpi Messina per il 25 aprile

“Dopo l’8 settembre il tema fu quello della riconquista della Patria e della conferma dei valori della sua gente, dopo le ingannevoli parole d’ordine del fascismo: il mito del capo; un patriottismo contrapposto al patriottismo degli altri in spregio ai valori universali che animavano, invece, il Risorgimento dei moti europei dell’800; il mito della violenza e della guerra; il mito dell’Italia dominatrice e delle avventure imperiali nel Corno d’Africa e nei Balcani. Combattere non per difendere la propria gente ma per aggredire. Non per la causa della libertà ma per togliere libertà ad altri. La Resistenza fu anzitutto rivolta morale di patrioti contro il fascismo per affermare il riscatto nazionale”. Per dirla con le parole del Presidente Sergio Mattarella.
Il Risorgimento e la Resistenza rappresentano due momenti cardine della storia italiana, strettamente connessi da un filo ideale e storico che li rende complementari.
La Resistenza, spesso definita “Secondo Risorgimento”, non è stata solo una lotta armata contro il nazifascismo, ma anche un movimento animato da ideali di libertà e unità nazionale, ereditati direttamente dal Risorgimento. Questo legame emerge chiaramente nei nomi delle formazioni partigiane, nei loro programmi e nello spirito che animava i combattenti.
La Resistenza, a sua volta, si pose come momento di rinascita per una nazione ferita e divisa. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, l’Italia si ritrovò in una situazione drammatica: il Nord occupato dai nazisti, il Sud devastato dalla guerra e milioni di italiani deportati o in fuga. Eppure, come osservò il partigiano Giorgio Bocca, l’idea di un’Italia unita non venne mai meno, anche nei momenti più bui.
L’aspirazione all’unità nazionale trova radici profonde nell’Inno di Mameli, che richiama la necessità di superare le divisioni per diventare un popolo libero e dignitoso.
In tempi recenti, si è assistito a tentativi di frammentare ulteriormente il Paese attraverso rivendicazioni di autonomia regionale che rischiano di compromettere l’unità nazionale. La Corte Costituzionale ha ribadito con fermezza il principio sancito dall’articolo 5 della nostra Carta: “La Repubblica, è una e indivisibile”. Questo richiamo all’unità è essenziale in un momento storico in cui i valori fondanti della democrazia rappresentativa e dello Stato di diritto sembrano vacillare sotto pressioni politiche e sociali. Difendere i principi della Costituzione significa onorare il sacrificio di chi ha lottato per un’Italia libera, democratica e solidale.
L’ANPI, da tempo, si è intestata una importante battaglia in difesa della Carta e dei suoi principi. Oggi, questo compito è divenuto urgente e ineludibile. Al di là delle specifiche opzioni politiche, riteniamo che da una crisi tanto profonda e radicale non sia possibile uscire senza quello che Machiavelli definiva il “ritorno ai principi”. La perdita, anche parziale, del sistema organico di valori sotteso alla Costituzione, inevitabilmente, causerà la crisi irreversibile del modello di convivenza costruito nel 1948 che ha consentito al Paese di superare la catastrofe del fascismo e della guerra e di attuare, con difficoltà e distorsioni, un processo di crescita politica, culturale, etica e sociale del quale hanno beneficiato, anche se in modo ineguale, tutte le classi sociali.
L’indebolimento dei principi sta già producendo effetti paurosi che ci eravamo illusi di avere cancellato per sempre. Non è grave soltanto che alcune forze politiche abbiano “riscoperto” razzismo, paura del diverso, cieco egoismo. Non è grave soltanto che nell’ultimo quarto di secolo intere fortune politiche siano state costruite sulla “demonizzazione” della politica come capacità di confronto e di ricerca di percorsi condivisi e, sventolando il vessillo di una “volontà popolare maggioritaria” priva di argini e regole, abbiano “rilanciato” l’idea dell’uomo solo al comando. E’ grave che il Paese sembri ormai privo degli anticorpi necessari a reagire. I ripetuti tentativi di attuare riforme costituzionali devastanti sono stati battuti e dobbiamo operare perché continuino ad esserlo, ma nel momento presente e nella prospettiva del domani, è indispensabile costruire un progetto di ampio respiro che chiami tutti a una difficile battaglia per l’integrale attuazione della Costituzione. Su questo tema, vanno valutate le posizioni delle forze politiche e la stessa legittimità e accettabilità di accordi internazionali ai quali l’Italia aderisce, poiché è l’unico tema che può togliere terreno a “sovranisti”, nazionalisti, razzisti e populisti, la cui crescita si è nutrita e si nutre della critica (errata e inefficace) di una visione “economicistica” della politica nei suoi aspetti interni e internazionali. “Non è questo il Paese che sognavo” è il significativo titolo del libro del Presidente emerito della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi.
Il meridione d’Italia contribuì alla lotta di Liberazione attraverso ribellioni e resistenza nei propri territori, nel periodo che si considera la prima Resistenza. Lo squilibrio economico tra Nord e Sud, oramai consolidato, era destinato ad allargarsi; il ventennio fascista è il periodo storico in cui aumenta di più il divario tra Nord e Sud. Sicché se all’inizio del periodo fascista la differenza di PIL tra le due Italie era del 20%, alla fine della Seconda guerra mondiale essa era cresciuta fino al 50%. La situazione è resa da alcune parole chiarissime di Manlio Rossi Doria: “sono stati quelli dal 1925 al 1951 gli anni della disperazione nera in tutto il Mezzogiorno”. I meridionali volevano pace e, il 25 luglio, festeggiarono l’arresto di Mussolini. Già dal ’42 ci furono segni di resistenza, con ribellioni contro le violenze squadriste, che aumentarono dopo lo sbarco alleato in Sicilia. Questi movimenti avevano anche un carattere sociale, e alcuni contadini attaccarono i tedeschi recuperando armi sul campo. Le rivolte contadine furono importanti nella crisi del regime fascista e del sistema agrario latifondista, prepararono la trasformazione della società agricola e contribuirono, dopo la guerra, alla riforma agraria negli anni Cinquanta.
In ogni caso, il contributo del Mezzogiorno alla guerra di Liberazione non si limitò alle rivolte popolari. Molti meridionali furono attivi nelle formazioni partigiane nel centro e nord Italia e anche all’estero. Alcune stime indicano che circa il 20 per cento delle formazioni partigiane erano persone provenienti dal Sud. Per i soldati meridionali lontani da casa, l’8 settembre rappresentò un momento decisivo: potevano unirsi ai partigiani con molti sacrifici, oppure aderire all’esercito repubblichino che garantiva una falsa sicurezza. La maggior parte scelse di combattere per la libertà. Dopo l’armistizio, molti militari nelle regioni del Sud e nelle isole presero parte a resistenze patriottiche, mentre la Resistenza civile si sviluppò in risposta alla violenza degli occupanti tedeschi e dei loro collaboratori fascisti. La maggior parte scelse di combattere per la libertà. Molti meridionali si arruolarono anche nel Corpo Italiano di Liberazione, combattendo a fianco degli Alleati. Inoltre, migliaia di soldati del Sud furono internati e molti morirono nei campi di concentramento. La resistenza nel Sud ci fu, sebbene frammentata, è importante darle rilievo per superare l’immagine di un Mezzogiorno inerte.
Oggi ricordiamo il partigiano messinese Fortunato Gennaro, di 99 anni, che ci ha lasciati il 17 gennaio di quest’anno; ha partecipato alle azioni della Brigata Gramsci operante a Cascia.
Dopo l’8 settembre 1943, sono principalmente ufficiali e soldati del Regio Esercito disperso a entrare nelle fila della Resistenza.
– Giorgio Bocca nel suo libro La repubblica di Mussolini ricorda che il dittatore aveva definito la Marina: “l’arma infida per eccellenza” e che il duce punì facendo fucilare i due ammiragli Mascherpa e Campioni. I due ufficiali avevano avuto il torto di non arrendersi ai tedeschi e rifiutarsi di aderire alla “republichetta” di Salò, in sostanza di aver fatto il loro dovere. La Marina italiana durante l’8 settembre dimostrò fedeltà al legittimo governo, obbedendo agli ordini dell’armistizio e dirigendosi verso i porti alleati, nonostante i rischi, come dimostra il tragico affondamento della corazzata Roma. I reparti rimasti a Taranto contribuirono attivamente alla Guerra di Liberazione sotto il nome di Mariassalto, distinguendosi per il loro valore. Ricordiamo:
Giovanni Ciccolo, nato a Messina nel 1917, ufficiale marina, partigiano in Romania/Balcani.
Franco Nummeri, nato a Messina nel 1920, marinaio. Partigiano in Emilia Romagna, 2° Brigata Busconi.
Giuseppe Santoro, nato a Messina nel 1925, militare della Marina a La Spezia.
Partigiano della 2° Brigata “Carlo Rosselli”, Divisione Giustizia e Libertà, operante nell’area di Firenze. Deportato nel lager di Nordhausen. Segretario dell’Anpi di Messina dal 1947 al 1959.
Antonio Siligato, nato a Limina nel 1920, sergente nocchiere della Marina, partigiano combattente nella brigata “Centocroci”, caduto a Massa-Carrara il 20 gennaio 1945. Medaglia d’oro al valor militare.
Mimmo Trapani, nato a Messina nel 1923, partigiano combattente nella X Brigata Matteotti, nome di battaglia “Il Messinese”. Arruolato nel battaglione San Marco fu catturato dai tedeschi ma riuscì a evadere. Contribuì alla liberazione di Milano.
-La storia della Guardia di Finanza è costellata di figure eroiche concretizzatesi durante il periodo dell’occupazione nazi-fascista. Fra i tanti Eroici Finanzieri che fecero la Resistenza, moltissimi furono meridionali: alcuni di loro finirono nei lager tedeschi e ci morirono; altri, aderirono al Movimento di Liberazione Nazionale, e si prodigarono per salvare i profughi ebrei ricevendo Medaglie d’Oro alla Memoria e persino quella israeliana di “Giusto tra le Nazioni”. Oggi rendiamo onore ai tanti senza nome di cui la storia aveva perso traccia, senza di essi il mosaico che racconta la Resistenza mai sarebbe completato. Ricordiamo:
Leonida Bertè, nato a Milazzo, 1905. Capitano guardia di Finanza. Partigiano combattente. Dopo l’8 settembre assunse il comando di una Brigata della Divisione partigiana Garibaldi operante in Montenegro. Medaglia d’argento.
Dopo l’8 settembre 1943 l’allora Regia Aeronautica si dimostrò capace di compiere operazioni in numerosi quadranti in particolare nella regione balcanica, tramite missioni offensive o di supporto alle truppe della brigata “Garibaldi” e a quelle partigiane jugoslave. Degno di nota è il ruolo avuto dal Fronte militare clandestino aeronautico costituitosi a Roma nei mesi successivi l’armistizio strutturato in 11 bande.
La memoria dei martiri della Aeronautica, come quelli uccisi alle Fosse Ardeatine, e le medaglie d’oro alla memoria, testimoniano il contributo dell’Arma. Ricordiamo:
Guido Briguglio, nato a Messina nel 1920. Partigiano nel Lazio dal 9 settembre 1943, nel Fronte Militare Clandestino di Roma.
A 84 anni dalla stesura del Manifesto di Ventotene, è inevitabile riflettere sull’attualità e sull’importanza di quella visione lungimirante che Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni hanno consegnato alla storia. In un’Europa segnata da divisioni e crisi, il loro progetto di una federazione di Stati, capace di superare le sovranità nazionali per affrontare insieme le grandi sfide dell’umanità, risuona oggi più che mai come un monito e un’ispirazione. Il Manifesto rappresentava un’idea rivoluzionaria per il suo tempo: un’Europa unita non solo per prevenire nuovi conflitti, ma per costruire una società più giusta, solidale e orientata al progresso umano.
Settant’anni fa l’1-2 giugno 1955 si svolse a Messina la conferenza dei 6 Ministri degli Esteri della Comunità europea del carbone e acciaio — convocata dal Ministro degli Esteri italiano Gaetano Martino — con la quale cominciò la procedura che portò alla firma, a Roma il 25 marzo 1957, dei Trattati istitutivi della Comunità economica europea. “Non siamo un incidente della Storia – diceva David Sassoli – ma i figli e i nipoti di coloro che sono riusciti a trovare l’antidoto a quella degenerazione nazionalista che ha avvelenato la nostra storia”.
Eppure sembra che oggi manchi quella stessa passione civile che animava i padri fondatori dell’Europa. La Brexit e altre fratture interne dimostrano quanto sia fragile il progetto europeo quando si smarrisce la capacità di sognare insieme. Le sfide attuali – dalla transizione ecologica ai cambiamenti climatici, dalla gestione delle migrazioni alla lotta contro le disuguaglianze – richiedono una visione comune e una cooperazione concreta. Non affrontarle con la stessa determinazione che Spinelli e i suoi compagni avevano nel loro tempo significa tradire lo spirito del Manifesto. Questa pressante necessità ci porta a ribadire che nel mondo in cui viviamo è ancora urgente stabilire norme universali in grado di proteggere la vita umana nel suo complesso.
Le istituzioni di giustizia internazionale rappresentano un pilastro fondamentale per la tutela dei diritti umani e la promozione della pace globale. Tuttavia, la loro esistenza e operatività sono oggi minacciate da una crescente ondata di delegittimazione e attacchi politici. La Corte Penale Internazionale, tribunale incaricato di perseguire crimini contro l’umanità, crimini di guerra, genocidio e aggressioni, è al centro di un dibattito acceso che ne mette in discussione l’autorità e l’efficacia. Da Washington a Budapest, passando per Roma, sono numerosi gli episodi che dimostrano quanto sia fragile il sistema multilaterale di giustizia. L’amministrazione Trump, con un ordine esecutivo volto a imporre sanzioni economiche contro la Corte, ha lanciato un segnale inequivocabile di disprezzo verso il ruolo del tribunale. In Europa, il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha violato apertamente un mandato d’arresto internazionale ospitando il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, annunciando contestualmente il ritiro dell’Ungheria dalla Corte. Episodi analoghi si sono verificati in Italia con la scarcerazione del libico Almasri, accusato di crimini di guerra e contro l’umanità. Questi eventi non solo minano l’autorità della Corte, ma rappresentano anche un pericoloso precedente per la comunità internazionale e per la Pace.
La guerra, il riarmo e la mancata applicazione delle leggi internazionali rappresentano una negazione di questi principi. Papa Francesco definì la guerra un fallimento dell’umanità e della politica, madre di povertà e distruzione, che lascia il mondo peggiore di come lo trova; tema che Egli affrontò con profonda preoccupazione, evidenziando come oggi essa sia gravemente violata in un’epoca in cui i conflitti tornano a insanguinare l’Europa e il mondo. Nel suo ultimo discorso il giorno di Pasqua ha detto: “Nessuna pace è possibile laddove non c’è libertà religiosa o dove non c’è libertà di pensiero e di parola e il rispetto delle opinioni altrui. Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo! L’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo. […] Sono queste le “armi” della pace: quelle che costruiscono il futuro, invece di seminare morte! Non venga mai meno il principio di umanità come cardine del nostro agire quotidiano. Davanti alla crudeltà di conflitti che coinvolgono civili inermi, attaccano scuole e ospedali e operatori umanitari, non possiamo permetterci di dimenticare che non vengono colpiti bersagli, ma persone con un’anima e una dignità”. Il pensiero profetico di Papa Francesco ci mancherà tanto.
Dopo anni di continui conflitti armati conosciamo bene i numeri della guerra: il 90% delle vittime sono civili innocenti. E 1 vittima su 3 è un bambino. Mahmoud Ajjour, un bambino di 9 anni a cui un’esplosione ha portato via le braccia a Gaza si rammarica di non poter più abbracciare la sua mamma. Siamo contro ogni guerra: continueremo a ribadirlo e a stare dalla parte delle vittime. A Gaza, come in Ucraina, Afghanistan, Yemen, Sudan.
La pace – tema centrale tanto nel Manifesto di Ventotene quanto nell’articolo 11 della Costituzione italiana – non è un dono scontato, ma un’opera artigianale che richiede l’impegno a non cedere alla logica della paura che chiude, ma a usare le risorse a disposizione per aiutare gli indigenti, combattere la fame e favorire iniziative che promuovano lo sviluppo. Questo è lo spirito originario delle Istituzione Europee e delle Nazioni Unite che trova un parallelo nella celebrazione del 25 aprile, simbolo della Liberazione italiana dal fascismo. La Resistenza ha rappresentato non solo il riscatto di una nazione, ma anche l’affermazione di valori universali come la libertà, la dignità e la giustizia. È doveroso ricordare che la democrazia conquistata allora non è un’eredità immutabile, ma un impegno quotidiano che richiede vigilanza e partecipazione attiva. Come la Pace.
L’80° anniversario della Liberazione e della Carta delle Nazioni Unite ci invitano a riflettere su quanto sia necessario custodire e rinnovare quei valori. La Costituzione italiana resta l’arma più potente che abbiamo per costruire una società basata sulla pace, sul lavoro e sull’uguaglianza. È nostro compito continuare a resistere contro ogni forma di oppressione e a lavorare per un futuro migliore, ricordando che dopo ogni resistenza c’è sempre una liberazione.
Viva il 25 aprile Festa della Liberazione dal nazifascismo, viva l’Europa unita, viva la Repubblica Italiana democratica e antifascista.