di Sebastiano Saglimbeni

La Sicilia può vantare, riscattandosi, non meno di altre nostre regioni, molti partigiani ispirati da quell’antifascismo intransigente storico professato apertamente da uomini, che finirono in esilio o nelle carceri, come, ad esempio, Antonio Gramsci, Francesco Lo Sardo e Girolamo Li Causi. Di partigiani insigniti di medaglie d’oro al valore se ne contano 26 in Sicilia. Uno tra questi, non un politico, solo un giovane marinaio graduato, Antonino Siligato, di Limina, in provincia di Messina. Questa piccola comunità della Valle d’Agrò gli ha dedicato una via principale. Altre gli sono state dedicate dalla città di Messina, dalla città di La Spezia. Ultimamente, il 30 gennaio 2001, gli sono stati dedicati un cippo a Codolo di Pontremoli e una lapide a Patigno di Zeri, laddove cadde sotto il fuoco nazista. Su Nino ho scritto altre volte ed ho pure potuto curare, per certi smemorati e per certi nostalgici del Ventennio fascista, la ristampa, con il titolo “Storia di un partigiano/Nino Siligato”, della pubblicazione, poco diffusa, “La strada era tortuosa”, dove questo partigiano è stato ampiamente descritto nelle sue imprese e, fra l’altro, caratterizzato dal cappellano della brigata “Centocroci”, don Luigi Canessa, come “il più famoso, il più bello, il più generoso, il più caratteristico partigiano della Centocroci”. Dicevo dei ventisei partigiani insigniti di medaglia d’oro, ma contano pure tanto quei tanti partigiani modestamente insigniti, quelli non affatto insigniti, che furono assassinati dalle SS o deceduti per stenti o per malattia nei campi di sterminio. In Messina e provincia 41 di questi assassinati dalle SS o deceduti per stenti. Molti, dunque, i partigiani siciliani. Fra questi, prima di elencare gli altri 25 insigniti di medaglia d’oro, vanno ricordate tre figure eccezionali: Elio Vittorini di Siracusa, Pompeo Colajanni di Caltanissetta e Salvatore Di Benedetto di Raffadali. Gli altri 25 insigniti di medaglia d’oro, combattenti in luoghi della Penisola, secondo la pubblicazione “Quaderno di ‘Cronache parlamentari siciliane’ dedicato al trentennale della Liberazione”, che li elenca, con qualche lacuna, sono: Vito Artale, di Palermo, Salvatore Bono, di Campobello di Mazara, Luigi Briganti, di Siracusa, Gaetano Butera, di Riesi, Giacomo Crollalanza, di Modica, Salvatore Cutello, di Chiramonte Gulfi, i due fratelli palermitani, Alfredo e Antonio Di Dio, Francesco Gallo, di Catania, Calcedonio Giordano, di Palermo, Giuseppe Pietro La Marca, di Piazza Armerina, Ermanno Maciocio, di Lercara Friddi, Arturo Maira, di Canicattì, Francesco Martelli, di Catania, Salvatore Micale, di Acicastello, Carmelo Onorato, di Palermo, Vincenzo Pandolfo, di Palermo, Salvatore Pelligra, di Comiso, Luigi Rizzo, di Palermo, Gaspare Santoro, di Alcamo, Giuseppe Scagliosi, di Palermo, Salvatore Pennisi, di Catania, Antonino Amato, di Cianciana, Giovanni Gallo, di Favara e Gerlando Mandracchia, di Agrigento.
In Sicilia, la Resistenza fu sporadica. Mancarono, d’altro canto, le condizioni per una piena e compatta lotta tale a quella che si sviluppò nelle regioni della Penisola invase dai tedeschi dall’8 settembre in poi. Nel grosso centro di Randazzo scoppiò una rivolta armata contro i tedeschi che si ritiravano razziando, distruggendo e sparando; una rivolta, questa, valutata spontanea, vale a dire, senza quella spinta da parte delle formazioni politiche antifasciste, come il PCI, il Partito di d’Azione e lo stesso Movimento separatista. Un’altra rivolta armata più consistente contro i tedeschi scoppiò a Mascalucia, un piccolo centro sulle pendici dell’Etna. Quest’ultima vicenda tragica, che sconvolse la tranquillità degli abitanti laboriosi, ce la descrisse nei suoi particolari Franco Pezzino. Probabilmente circolerà qualche altra pagina più recente, con altri particolari, rispetto a questa che lo studioso Pezzino scrisse per la pubblicazione siciliana.
Questi, per la memoria, i patrioti siciliani. A questi va aggiunto l’umanista Concetto Marchesi, partigiano con la parola scritta, un protagonista in Veneto, assieme al veronese Egidio Meneghetti.
“Ogni terra vorrebbe i vostri nomi di forza”, scriveva Salvatore Quasimodo, in nome dei sette fratelli Cervi, assassinati dalle squadre nere fasciste.
La resistenza una guerra generatrice di sangue e di liberta. Ed ogni guerra in vero liberatrice “bisogna viverla come un’esigenza del proprio essere che in un momento della storia irrompe e si dilata nella vita collettiva”, scriveva Concetto Marchese sopra mentovato.