di Sebastiano Saglimbeni

Sono trascorsi alcuni anni da quando è stato divulgato un mio libretto dal titolo Mal di caffè, con una nota introduttiva dello storico Silvio Pozzani. Il libretto, che riportava sulla prima pagina di copertina un particolare del dipinto “Caffè greco” che, a firma di Renato Guttuso, si conserva nel Museo di Madrid, e con altre immagini, non è più in diffusione. Pianetalibro, una piccola editrice, fondata dal bibliotecario Franco Sabia, che l’aveva accolto, non esiste più da alcuni anni. Una porta, come altre della cultura, che si è chiusa e che più non si schiuderà per diffondere quei titoli di scelta e di raffinatezza che nascevano in provincia di Potenza, a Possidente. Il libretto di circa 90 pagine, è stato letto e raccontato, con un’abile sintesi, da Raffaello Cedro, in una sala del locale, Caffè (e ristorante), “Liston 12”, gestito da suo fratello Claudio e dai due figli Alessandro e Simone. Raffaello aveva declamato, come incipit del suo intervento, i seguenti endecasillabi di Umberto Saba, il poeta frequentatore di Caffè nella sua Trieste, riportati dentro il libretto. Gli endecasillabi recitano:
“Caffè di plebe, dove un dì celavo
la mia faccia, con gioia oggi ti guardo
e tu concili l’italo e lo slavo,
a tarda notte, lungo il tuo bigliardo.”
Raffaello è stato inteso da non poche presenze nella sala, che spesso ospita eventi, del “Liston 12”. Erano – e sono – quelle presenze coloro che consumano il tempo libero dalla fatica e la quiescenza nei Caffè. La crisi odierna – complici guerre e morti a non finire- non impedisce di spingere fuori di casa coloro presi dal mal di caffè. Così tanti si immergono nella Piazza Bra, famosissima dall’anfiteatro romano, per essere, con altri, più di altri. E si entra al “Liston 12” o al “Manuel” di Raffaello o negli altri Caffè.

Mal di caffè antico e di tanti. L’avevo implicitamente espresso nel sopraddetto libretto, che riscriverei per dire dell’altro. Vi avevo delineato certo malessere sociale che si crede, da parte di tanti, di poter lenire uscendo di casa, carichi di tempo, bisognosi di luce. Il nostro poeta – mi si conceda una piccola digressione – del romanticismo e del neoclassicismo Ugo Foscolo, a proposito della luce, quella del sole, ne parla nel carme Dei sepolcri. Spiega “perché gli occhi dell’uom cercan morendo/ il Sol”. Gli occhi, vale a dire, di coloro che, in procinto di andare di là per sempre, vogliono godere l’estrema luce del sole.
Il caffè ed altre bevande oggi persino in alcune librerie come, ad esempio, a Verona, in quella de “Il Minotauro”, che gestisce Franca Tosi, e della “Feltrinelli”, sino a tempo fa. Allora pure i gestori dei Caffè potranno dentro ritagliarsi un angolo con in mostra titoli editoriali di varia cultura. Per decantarli e venderli. O farli sfogliare mentre si sosta e si consuma qualche ordinazione.
Nel libretto avevo ricordato i Caffè storici e, se non tali, caratteristici, nel nostro Paese; tra questi, il Caffè Tomaso di Trieste, che, dopo, si nomò “Caffè Tommaseo”, in onore all’omonimo dalmata patriota. In questo Caffè avventori, di diversa nazionalità, potevano leggere le gazzette in lingua francese, italiana, inglese, tedesca ed ungherese. Tomaso Marcato, che l’aveva fondato nel 1830, lo incrementò, in seguito ai suoi viaggi in Austria dai Caffè viennesi.
Mal di Caffè, che vuol dire predilezione del Caffè: il locale e la bevanda. “Ѐ triste”, osserva Raffaello, “vedere che i Caffè oggi vengono frequentati quasi esclusivamente da persone anziane. Le nuove generazioni si disperdono in altri luoghi”. Per l’industriale Giambattista Ceni, sostare in un Caffè vuol dire concedersi un po’ di riposo, diverso da quello dentro i muri domestici, e meditazioni. Egli ne ha conosciuti Caffè, non meno dei rinomati ristoranti. Il poeta Tonuti Spagnol ne fa del Caffè un luogo quotidiano, come il pane. Ha frequentato Caffè nel suo Friuli, in Verona, dove vive, in Padova e nell’isola d’Elba, dove trascorre l’estate. Lui dice che, seduto al Caffè, gli si risveglia in mente il tempo passato, di care memorie. E in queste memorie Casarsa con i suoi compagni con i quali ascoltava, durante l’ultima guerra e subito dopo, le lezioni di Pier Paolo Pasolini.
Tanti Caffè, amici, grandi e piccoli, tutti lindi; e tanto, conseguentemente, mal di Caffè.
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Quanto sopra gli asterischi lo scrivevo un decennio fa. Il tanto socievole umile impresario Giambattista Ceni non c’è più. Pure non c’è più Tonuti Spagnol con il quale avevo trascorso diverse mattinate al “Caffè Rialto” che, complice quella peste, non ho più frequentato e, da questo locale, non ho più raggiunto la vicina estesa Piazza Bra. Mi attardo nella via 24 Maggio dove abito. Qui il Caffè “Saint Paul” che, rinnovato, gestisce Thomas Ventura con la sua compagna Zina. Continuo a frequentarlo all’età di 93 anni con l’amico poeta Giorgio Gabanizza che è riuscito a fare esporre in questo locale, quando lo gestiva Cristian, diverse opere d’arte di varia tecnica a firma di Bruno Meneghelli, insegnante emerito.
Con Giorgio, il sabato e la domenica, lento pede, percorriamo appena mezza via 24 Maggio e al Caffè “Vittorio Veneto” sempre popolato. Per circa un’ora fuori di casa. Qui, qualche volta, ci raggiunge lo scrittore Franco Casati.
Mal di Caffè. Ne era, quotidianamente preso un tempo a Messina, un elegantissimo giovane facoltoso. Si chiamava Carmelo Settembre e proveniva dall’umile comune di Limina. La sua giornata si consumava in un Caffè della città ch’era rinata dopo il terrificante sisma del 1908 magistralmente descritto dal poeta, Premio Nobel, Salvatore Quasimodo. Carmelo morì giovane.
All’entrata del suo locale, il titolare, per un mese, espose una striscia nera che recitava:
“Lutto per la morte del principe
Carmelo Settembre”.
Si era creato, per certo, un rapporto di autentica amicizia tra il giovane, inteso “principe”, e il gestore del locale.
Mal di Caffè. Nei Caffè con Giorgio esercitiamo la memoria ricordando uomini delle lettere, dell’arte e della musica. E così, magia della creatività umana, ci eleviamo illusoriamente e, per poco, obliamo le cure quotidiane. Le lettere, le lettere. Un’infinità gli autori. Non pochi, pure insigniti di eccelsi guiderdoni, non si ricordano più. Noi ne abbiamo ricordato tanti; tra questi, Elio Vittorini ed Eugenio Montale frequentatori del Caffè “Giubbe Rosse” a Firenze e di altri in Milano. L’autore di Conversazione in Sicilia e l’autore di Ossi di seppia avranno tanto discusso e detestato, durante i loro incontri nei Caffè, la retorica del ventennio fascista, avranno pure tanto discusso la condizione umana e sociale del dopoguerra. Vittorini, un fine interprete del mondo offeso, scrisse nel suo romanzo Il garofano rosso, ambientato nell’inventato “Caffè Pascoli&Giglio”: “La gente si allea nelle paure. E tu vedi come i bravi e i giusti siano alleati in una paura intelligente… Come i perfidi siano alleati in una paura idiota! L’umanità è tutta divisa da parti e alleanze contro le paure”.
Si racconta che in un Caffè di Palermo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa avesse composto il romanzo Il Gattopardo, rifiutato da diversi editori, per poi, post mortem dell’autore, promuoverlo Feltrinelli. Una fortuna per questo editore, intensificata dopo il film di Luchino Visconti. Nel “Caffè San Carlo” di Torino, il giovane sardo Antonio Gramsci sedeva ad un tavolo riservato per scrivere i suoi pezzi critici sugli spettacoli teatrali della città. In questo Caffè progettò L’Ordine Nuovo.
Ancora nella nostra città scaligera. Un tardo pomeriggio, dopo alcuni anni, mi sono spinto oltre la mia via ed ho raggiunto la via IV Novembre dai diversi Caffè. In uno di questi, dove leggevo alcuni giornali e dove alcuni avventori discutevano elegantemente di arte, letteratura e musica, non ho più rivisto quegli accoglienti e brillanti di vita giovani titolari e servienti che avevano appreso il mio nome ed io il loro nome. Chissà dove siano ora dopo quella peste e con questa nera epoca di disfacimento con le guerre.